Un anno fa di questi tempi si metteva in moto la macchina organizzativa per le elezioni ordinistiche.
Fino a quel momento non ci avevo pensato seriamente.
Anzi, ricordo precisamente una mattina a scuola di specializzazione qualche anno fa in cui con assoluta certezza affermavo che io non ero fatta proprio per la politica.
Era il 2010.
In verità tuttora ogni tanto me lo dico.
In particolare lo dico a Luca Pezzullo, il più bello tra tutti noi. Gli dico
Luca, secondo me io non sono fatta per queste cose!
Lui scuote i boccoli biondi e mi risponde con frasi dal significato criptico
Porti tu il lievito madre?
L’anno scorso, di questi tempi, ero molto spaventata.
Non dalle elezioni, ovviamente, ma dai cambiamenti nella mia vita che uno dietro l’altro avrebbero cambiato totalmente il mio mondo.
Anzi, uno psicologo potrebbe tranquillamente pensare che la politica è stato per me un ottimo “diversivo”…
Elezioni terminate: possiamo tornare tutti un po’ più normali 😀
Come era prevedibile, non ce l’abbiamo fatta.
Eravamo consapevoli di tutti i rischi (anche di quello di un cappottone, con non più di 50 voti…), quando abbiamo fatto una serie di scelte molto poco “politiche”, come quella di non prenderci a bordo persone all’ultimo momento solo per mettere insieme una lista di 9…pure quando certe linee telefoniche si sono fatte molto calde…
Questi i progetti di AltraPsicologia in Campania in breve.
Ne approfitto per anticipare un’idea che spero di sviluppare in maniera divertente e soddisfacente quest’anno che è il mio canale youtube.
Se vi garba l’idea, iscrivetevi 🙂
Volevo approfittare dello spazio più “privato” di questo blog per alleggerirmi e raccontare in maniera un po’ più scanzonata e intima l’esperienza di questa campagna elettorale insieme ai miei compagni di viaggio, Luca, Valentina, AlessandraeAlessandro.
E subito mi è venuto in mente che in fondo non c’è poi tantissimo da raccontare, soprattutto a chi in queste settimane ci ha fatto l’onore di venirci a conoscere di persona.
La campagna elettorale degli psicologi attraversa ormai tutta la penisola dalle Alpi alle isole (ad eccezione dei colleghi emiliani, che voteranno in primavera).
Cara/o collega, vorrei allora suggerirti delle domande che sarebbe utile tu ti ponessi prima di recarti alle urne a votare.
In queste settimane, in cui solo apparentemente sto trascurando il blog e tutti i suoi NUMEROSISSIMI fans, sto cercando di raccogliere materiale per alcuni articoli di “educazione civica” per gli psicologi.
Convinta di dover a tutti i costi contribuire alla costruzione di una cultura di condivisione tra psicologi come se non avessi altro da fare nella vita e come se a qualcuno importasse davvero, mi sono messa in testa di voler ricostruire la storia della politica professionale della psicologia.
Un’impresa che si sta mostrando straordinariamente complicata, a dispetto di una professione assolutamente giovane; in fondo sono nata prima io e poi la professione di psicologo in Italia!
Ma la maggior parte degli psicologi non conosce i principali “partiti” della psicologia italiana, conosce in maniera vaga gli effettivi compiti dell’Ordine, ignora per lo più di avere persino un sindacato!
Credo che le prossime elezioni ordinistiche e il quadriennio che ne seguirà saranno decisivi per capire che strada vogliamo far prendere a questa professione in Italia.
E un eventuale cambiamento pesa sulle spalle della mia generazione, semmai vorrà farsi carico dell’ingrato compito di fare scelte che, inevitabilmente, finiranno per scontentare qualcuno. Noi stessi per primi.
Ma il quadro attuale ci lascia poco tempo per tergiversare.
Con gli attuali trend, si prevede che nel 2016 (che è domani in pratica) ci saranno in Italia 100mila psicologi (un terzo di quelli di TUTTA Europa).
Gli psicologi sono sempre in fondo alle classifiche in quanto a reddito.
Le università continuano a sfornare laureati in psicologia spesso inconsapevoli di cosa faccia realmente uno psicologo e pure di cosa li aspetta, destinati per lo più a restare impantanati in eterne formazioni (spesso cannibaliche) e ad andare a imbottigliarsi nell’unico ramo della psicologia che l’università gli ha messo davanti: la clinica e la psicoterapia.
Colleghi prontissimi e capaci, ma assolutamente impreparati dal punto di vista del marketing e del business, predisposizione e competenze senza le quali la vedo dura affermarsi come liberi professionisti, che è la strada che aspetta ciascuno di noi, a meno di non voler credere che i vari psicologi di base diventino realtà consuete e consolidate in tempi brevi…[ad esempio: lo psicologo del territorio come camminerà?]
E in risposta a questi punti caldi andranno prese decisioni amare.
Limitare l’accesso all’università?
Riformare i corsi di laurea in modo da inserire competenze di marketing e business già negli studi universitari?
Allargare lo sguardo della psicologia già dall’università, allontanandolo dalla clinica?
Riformare l’esame di stato, rendendolo realmente selettivo, fino a stabilire un numero di abilitati che è possibile sfornare ogni anno in misura delle richieste del mercato?
Possibili scontenti? Tutti.
Gli aspiranti psicologi e il loro diritto a studiare e quindi ad aspirare.
Le scuole di specializzazione, che se non hanno studenti come fanno a sopravvivere?
Gli psicologi che campano formando altri psicologi.
Lo Stato, che finirebbe per non poter contare più su una massa di mano d’opera disposta a offrire competenze in forma gratuita nella maggior parte dei servizi del SSN.
Quando le cose sono confuse, bisogna partire innanzitutto da un punto fermo.
Ecco il mio.
Al netto di ogni considerazione esistenziale, io ho una partita iva e sono quindi una LIBERA PROFESSIONISTA.
In quanto psicologa, questo significa che dietro di me non ho nessuno; davanti a me, invece, ho una moltitudine che sulle spalle porta una o più di queste etichette:
e sono sicura che la folla sia talmente tanta e la mia vista così poco acuta che molte etichette nemmeno riesco a leggerle.
Otto psicologi su dieci non hanno messo tre-crocette-tre su un cartoncino e quindi hanno sentito di non avere nulla da dire circa la disciplina della loro professione.
Molti i kit non pervenuti, molti quelli arrivati fuori tempo massimo.
Dal CNOP ci hanno scritto che entro fine maggio ci sarebbe arrivato il tutto. Al 10 giugno erano molte le caselle postali ancora vuote e magari potevano avvertirci che il tutto avrebbe avuto l’aspetto del solito notiziario che, quello sì, l’80% di noi usa per pareggiare le gambe del tavolo.
Poi ci si è messa pure questa regola del “voto pervenuto”, invece del timbro postale, che ha dato tanto l’impressione di voler creare quanti più ostacoli possibili…
C’è stato poi l’imbarazzante silenzio degli Ordini Regionali.
Da questo screenshot potete vedere la prima pagina di google sulla ricerca “referendum psicologi codice deontologico”.
Se la posizione del mio blog può di certo pompare il mio narcisimo, lo sconforto mi prende quando nemmeno a pagina 5 compare il mio ordine regionale di appartenenza. E quelli delle altre regioni non fanno figura migliore, comparendo comunque nelle pagine 3 e 4 prevalentemente. E chi usa google sa bene che, a meno di ricerche particolarmente approfondite, non si va oltre la prima pagina per i risultati (peggio, non si va oltre i primi 3 link suggeriti dal motore di ricerca!!).
Si organizzano tanti seminari, più o meno utili/inutili, e dibattiti vari; possibile che in un mese e mezzo gli ordini regionali non abbiano trovato il tempo di spiegare ai loro iscritti cosa stavano andando a votare?
L’ipotesi che mi sono fatta io per spiegare questo colpevole silenzio è, ahimè, molto amara, cinica e con spunti paranoidei.
A pochi mesi dalle elezioni, infatti, a molti deve essere sembrato sconveniente prendere posizione sull’art.21 soprattutto…
Con quale faccia ci si sarebbe poi potuti presentare nelle medesime scuole che formano counselor e psicoterapeuti contemporaneamente, nelle stesse aule, con gli stessi programmi, con gli stessi docenti, a chiedere voti?
E questo è il mio pensiero sulle istituzioni.
Ma quell’80% che è stato in silenzio ora, tale e quale alle elezioni ENPAP, può essere spiegato solo così?
No, non può. E’ troppo facile, troppo semplicistico, troppo lineare.
Mentre i buoni fuggono con l’elicottero, il cattivo viene lasciato a terra e una miriade di zombie, accecati dalla fame, gli si lanciano addosso per sbranarlo.
Naturalmente ci sarà quello più fortunato, che prenderà un bel boccone, quello che dovrà accontentarsi di qualche piccola briciola e quello che resterà a digiuno e frustrato dalla fame.
Il punto è che mentre tutti si lanciano su quei pochi brandelli di carne, ignorano che gli sta per scoppiare addosso una bomba atomica che li annienterà!
Non sarebbe allora stato più sensato cercare di salire sull’elicottero?
Mentre noi ci litighiamo le poche ossa, addosso ci cadono i counselor, ci cade una visione sempre più “medicalizzante” della nostra professione, ci cadono gli altri professionisti che ci scippano ambiti di lavoro nei quali saremmo utilissimi (come scrive così bene qui Valentina Bovio) …e ci cadono addosso un milione di altre cose che sicuramente la mia notevole miopia mi impedisce di riconoscere!
Siamo tanti e contiamo pochissimo.
Siamo disillusi, disimpegnati, sfiduciati, siamo frammentati ciascuno a difesa del suo orticello, come dice il mio caro amico e collega Giovanni.
Ma una speranza c’è, io la vedo e non voglio abbandonarla.
C’è nella comunità uno zoccolo duro che non molla.
Che non crede nell’individualismo e nel cannibalismo zombico, che parla, discute, ma soprattutto scuote, che tappa i buchi laddove le istituzioni se ne stanno in silenzio più o meno disinteressato.
Con qualche blog, qualche sito, qualche pagina su Facebook siamo riusciti a entrare in contatto con 17mila psicologi.
Non dobbiamo mollare.
Dobbiamo continuare a parlare, continuare a indicare l’elicottero, perché è impegnandoci a salire su quello che possiamo sperare di non doverci accontentare delle briciole o addirittura restare a bocca asciutta.
Visione idealistica?
Forse.
Ma è davvero l’unica visione possibile per me, se voglio continuare a fare questa professione.
Quando la mia visione cambierà, diventerà più pessimistica o semplicemente più realistica potrà dirmi qualcuno, allora non cercherò compromessi.
Semplicemente farò qualcos’altro.
Cosa non lo so…in fondo io faccio parte di queste generazione di giovani così choosy…
Dopo l’intervista doppia che vi avevo postato qui (CLIKKA per rivedere) vi avevo lasciato indietro con le mie osservazioni circa quanto esposto dai colleghi sulla modifica dell’art. 21 del nostro C.d.
La premessa:
io credo innanzitutto che la tutela della nostra professione sarà tanto più solida quanto più sarà attiva e non “difensiva”.
A partire da questo numero ho iniziato a collaborare con la rivista Io Psicologo (qui, a pagina 29 potete leggere il mio articolo) e in particolare ho deciso di occuparmi di marketing e libera professione. Nei prossimi mesi usciranno diversi miei articoli sulla rivista e tutti sono caratterizzati da un filo conduttore: il richiamo, forte, ai miei colleghi (e a me stessa ovviamente) a impegnarsi in una promozione sempre più efficace. E non solo per mera “sopravvivenza commerciale”, ma per autentico dovere morale: le persone in difficoltà DEVONO sapere che c’è chi può aiutarle.
Tanto più noi psicologi ci impegneremo a utilizzare tutti i nostri strumenti e tutte le nostre conoscenze per proporre iniziative che rispondono ai bisogni e ai mezzi, soprattutto economici in questo momento, delle persone, tanto più la nostra professione sarà promossa e tutelata.
Mi piacerebbe fosse questa la strada principale che guida un Ordine professionale, mi piacerebbe fosse questo lo spirito guida della nostra comunità.
E’ anche per questa ragione che provo una sostanziale indifferenza per le altre professioni, le cosiddette “professioni della relazione d’aiuto”, sdoganate dalla recente legge 4/2013 “Disposizioni in materia di professioni non organizzate” . Non trovo utile stare lì a lagnarsi o a fare loro le pulci; pensiamo invece a fare il nostro lavoro, professionale, sul campo, quello quotidiano di tutti i giorni, e “politico”, scuotiamoci dal sonno in cui colpevolmente ci siamo adagiati per anni.
Non mi importa dei counselor&co. perché fino ad ora ho sentito solo di sentenze che condannano coouselor, psicopedagogisti e simili per l’esercizio abusivo della professione di psicologo, non mi è mai capitato di leggere il contrario…
Una sempre più precisa definizione degli atti tipici dello psicologo, più chiaramente comprensibili al pubblico e soprattutto al legislatore, avrà solide fondamenta per impiantare le sue radici nella promozione attiva. A quel punto saranno tutti gli altri a dover capire quali sono i loro di atti tipici e non noi ad andare a fare le pulci agli altri. Ribadisco la mia posizione: se esistono ALTRI profili professionali che possono aiutare le persone a stare meglio, BEN VENGANO, io sarò felicissima di collaborare con loro.
Questo lunga premessa per dire che, innanzitutto, non sono una guerrafondaia e che davvero mi incuriosisce molto la posizione del “no” a questo referendum, soprattutto da parte dei colleghi.
Avevo già letto (con molta pazienza…era lunghissimo) un primo articolo della collega Anna Barracco (qui) dove spiegava le ragioni del no e ora ho ascoltato la sua intervista.
Le mie perplessità su questa posizione referendaria, ahimè, sono restate intatte.
Sono rimasta colpita innanzitutto dalla prima motivazione che dovrebbe spingermi a votare no: se passa la modifica dell’art.21 poi mi spavento di fare formazione. Il tiro è stato aggiustato in corsa: se all’inizio si parlava esplicitamente e in maniera terrorizzante di “chiusura di sbocchi occupazionali” perché non avremmo potuto fare formazione a nessun altro se non ai nostri colleghi [qui un esempio di terrore], ora si parla di paura che improvvisa dovrebbe colpirci.
Sarò una temeraria evidentemente…perché non riesco a trovare questo aspetto sorprendente. Non riesco nemmeno ad attivarmi una paranoia del tipo
cos’è che non colgo?
Sarà che ragiono sempre in maniera concreta…
Domanda: ai badanti cui faccio lezione insegno io a fare gli psicologi?
Risposta: No.
Domanda: se a degli insegnanti insegno cosa sono i DSA, insegno io a fare gli psicologi?
Risposta: no.
E potrei andare avanti all’infinito sena avere paura proprio di nulla…
Altra motivazione che dovrebbe portarmi a votare no: l’art.21, anche se modificato, non farà sparire counselor&co. E’ vero, lo so e sinceramente non me ne frega niente. Io non voglio far sparire proprio nessuno. Voglio invece che chi tra i miei colleghi, per facile lucro per lo più, avalla situazioni che favoriscono l’abuso di professione, venga punito. E non per puro sadismo, ma perché l’abuso fa male alla categoria ma soprattutto mette a rischio i cittadini. E sì, trovo pure che questa sia una violazione deontologica grave.
C’è poi il discorso “negli altri Paesi non è così”. Beh…non voglio apparire acida, ma negli altri Paesi un mucchio di cose non sono esattamente come in Italia, nel bene e nel male.
Parlare di sistemi di accreditamento, sognare la cancellazione dell’art.21 perché incostituzionale, è parlare di un mondo che non c’è. Tanto varrebbe cancellare la legge che istituisce la nostra professione. Potrei pure essere favorevole a un’idea simile, intendiamoci, ma al momento la realtà è un’altra, e se proprio dobbiamo abolire il nostro ordine, allora aboliamoli tutti, mica vogliamo essere gli unici fessi? All’interno delle attuali normative italiane, proporre l’argomentazione “dagli altri non è così” non mi pare sensato, è come scotomizzare totalmente il contesto all’interno del quale ci troviamo.
Insomma, per quanto mi sforzi di trovare ragioni convincenti per votare no alla modifica dell’art.21 non ci riesco.
A meno di improvvise epifanie, credo proprio che voterò sì, senza spavento e senza paura.
Anche, però, senza attese messianiche o paternalistiche (da sistemica, mi ha fatto sorridere l’affermazione della collega 🙂 ).
Non è certo all’interno di questa modifica che si risolvono le questioni derivanti da 20 anni di coma della nostra politica professionale, da 20 anni di prevalenza e tutela di un indirizzo sanitario a discapito di quella della prevenzione e della tutela del benessere e da 20 di disinteresse per i liberi professionisti.
La mia speranza è che il coinvolgimento in questo referendum sia alto, pure se le pratiche del voto si prospettano farraginose (i kit dovevano arrivare a fine maggio, qualcuno ne ha notizia?).
Al contrario della collega Barracco, io non vedo tensione all’interno della nostra comunità (ma forse la mia percezione è legata alla mia realtà regionale).
Magari!
Ci sarebbe energia, Whitaker e pure io ne saremmo felici! Ci sarebbe terreno fertile per le idee!
Invece io sento svilimento, disinteresse un “tanto che ne parliamo a fare”, un sostanziale scollamento fra ciò che fa l’Ordine, realtà professionale e realtà civile che francamente mi preoccupa…
[Aggiornamento 4 Giugno 2013: qualcuno inizia a riferirmi che i kit stanno arrivando. BUON VOTO A TUTTI ALLORA! 🙂 ]