L’estate ormai è arrivata e tutti cercano di sfruttare le opportunità che si presentano.
Campeggio, coupon, pacchetti, last minute: cerchiamo di cogliere le occasioni al volo.
E poi c’è un’altra straordinaria opportunità, riservata questa a noi soli fortunati psicologi.
Sono gli ECM, fantastica e irripetibile occasione di accreditare la nostra professione agli occhi della società uscendo dall’ottica di una formazione autoreferenziale con supercazzola prematura e scappellamento a destra.
O almeno questo è il mio personalissimo riassunto dalla newsletter dai toni trionfanti ricevuta dal CNOP in merito.
Ad Ottobre 2014, la mia famosa vedenza dava ulteriore manifestazione della sua potenza con queste parole:
Quali saranno, allora, le intenzioni del nuovo Presidente e di tutto il suo Direttivo, insieme alla maggioranza che lo sostiene, in merito all’obbligo di formazione per gli psicologi?
Sarà dalla parte degli psicologi che amano la psicologia e sosterrà il progetto di una formazione continua che premi i professionisti o sarà dalla parte di quelli che nell’ennesimo obbligo per i professionisti vedono un’occasione di guadagno?
La mia reazione di fronte alla prospettiva di dover sottrarre tempo e denari alle mie supervisioni, alle mie intervisioni, alle mie relazioni per inseguire eventi ECM
E non una vendetta qualunque, ma la vendetta di Khaaaaannn!
Perché, all’improvviso, la questione dell’aggiornamento continuo per gli psicologi liberi professionisti potrebbe complicarsi.
In questo articolo sul sito di AltraPsicologia riassumo la questione e tratteggio le prospettive.
Suvvia! Non facciamo i melodrammatici! Non vi ho abbandonati!
La verità è che ho scritto un articolo talmente bello che ho dovuto pubblicarlo sul sito di AltraPsicologia! 😀
Argomento? I counselor, e un mistero: ma chi li forma?
Aiutatemi a risolverlo!
“Obbligo di Formazione Continua – Nuovo art.5 codice deontologico #psicologo” .
Come ampiamente prevedibile:
“In attesa dei tempi necessari per l’applicazione della legge, il Consiglio Nazionale ritiene
impraticabile, in questa fase di transizione, l’applicazione di sanzioni per mancato assolvimento dell’obbligo formativo sulla base al suddetto DPR.”
Poche settimane fa, con una misteriosa richiesta di riservatezza, è stato inviato a tutti gli psicologi l’agognato lavoro sugli atti tipici della professione. Un documento molto atteso, a maggior ragione dopo la modifica dell’art.21 del nostro codice deontologico con l’ultimo referendum. I contorni della nostra professione diventano e devono diventare più definiti, a tutela dei professionisti e soprattutto degli utenti, che devono potersi orientare sempre meglio all’interno delle offerte che il mercato offre per la tutela della loro salute e la promozione del loro benessere.
A svolgere questo importante lavoro ci hanno pensato tanti colleghi più esperti e competenti di me, che hanno svolto un lavoro prezioso che speriamo possa finalmente tappare quella falla all’interno della quale talvolta osano spingersi pseudoprofessionisti non adeguatamente formati.
Mentre oziosamente sul divano leggevo il segretissimo documento fattoci pervenire dal CNOP(la prova è che ho trovato anche un refuso prontamente segnalato 😀 ) inizio a riflettere sugli atti tipici della mia professione…ossia sul lavoro che svolgo io quotidianamente e ho iniziato a riflettere sulla provenienza delle competenze con cui affronto le mie numerose attività diversificate…
Facciamo, e non per vanità, un piccolo riepilogo del mio percorso di studi.
Svolgo il tirocinio presso la cattedra di sessuologia con il prof. Jannini e scrivo un mattone di tesi sperimentale sulla percezione della bellezza nell’omosessualità femminile.
A questo, segue un anno e mezzo di tirocinio post laurea+volontariato in un Centro di Salute Mentale, dove seguo colloqui con psichiatri, psicologi e psicoterapeuti, di valutazione, diagnosi e counseling.
Durante la specialistica all’Aquila inizio un corso biennale di psicodiagnosidove imparo i principali test.
Successivamente corso annuale in psicologia giuridica e corso annuale in mediazione familiare.
Intanto, prendo anche la specializzazione in psicoterapia sistemico-relazionale e durante i 4 anni riesco a svolgere tutti tirocini interessanti, dal reparto di malattie infettive nell’ospedale di Caserta fino al reparto di tossicologia al Policlinico Vecchio a Napoli. Scriverò un capolavoro di tesi di specializzazione sulla speranza e cronicità nella terapia dell’alcolismo (il mio orgoglio *_* )
Confrontiamo ora questo percorso con le mie attività diversificate da libero professionista e vediamo da quali percorsi ho attinto le competenze. Consideriamo solo quest’anno (facciamo finta sia per brevità…)
a) Docenza per corso di formazione rivolto a cassintegrati per formarli al mestiere di addetto alla cura della persona. Ho insegnato Psicologia Sociale e Sociologia. Nessuno mi ha insegnato a insegnare, ma questo per fortuna fa parte delle mie doti naturali. Per gli argomenti di lezione ho sicuramente attinto alle mie conoscenze universitarie.
b) Consulenza tecnica di parte. Qui ho utilizzato le conoscenze apprese durante quasi tutti i percorsi post laurea, dalla psicodiagnosi, alla psicologia giuridica, alla mediazione familiare alla specializzazione. Se mi fossi fermata alle sole conoscenze universitarie, non avrei saputo dove mettere mano.
c) Pazienti vari: ovviamente ho fatto riferimento alle competenze apprese durante la specializzazione. Ma devo dire che anche dopo il tirocinio post laurea, seppure con la scontata inesperienza, ero in grado di condurre un colloquio in maniera professionale.
d) Docenza in psicodiagnosi rivolto a colleghi. La psicodiagnosi all’università non l’ho praticamente mai toccata (eppure i mie percorsi di studi sono stati tutti fortemente improntati alla clinica…), tutto quello che insegno, l’ho imparato dall’esperienza nel Centro di Salute Mentale e nel corso di formazione post laurea. Tra gli atti tipici dello psicologo c’è la diagnosi, ma non avrei saputo dove mettere mano senza un percorso specifico post laurea al riguardo.
e) Attivazione e/o rinnovo di vari siti internet (quello dell’Associazione Psicologi Campani, un altro blog qui su wordpress o il mio sito professionale e al momento ho tra le mani quello di una cooperativa). Non ho mai studiato informatica, non ho neanche piena consapevolezza di quello che faccio quando metto su un sito, intendiamoci…ma intanto lo faccio. Non saranno perfetti, ma funzionali direi proprio di sì. Certo, ho frequentato la facoltà di psicologia…ma vogliamo parlare dell’esame di informatica dove mi hanno “insegnato” a utilizzare il pacchetto office…? Quello che ho “imparato” in quelle 30 ore di corso non mi è tornato utile mai, nemmeno quando ho fatto la tesi sperimentale, dove confesso che mi sono fatta elaborare i dati da qualcun altro, perché non sapevo utilizzare nessun programma utile…
f) Stesura di vari progetti. Il 50% l’ho imparato all’università. Il 25% l’ho imparato su google, il 25% me l’ha insegnato (probabilmente senza saperlo 😀 ) la mia collega Pina. Durante la specialistica ho fatto un intero esame annuale tutto improntato alla progettazione (si chiamava Psicologia della Salute) e la docente, che credo sia rimasta solo per il mio anno prima di scappare in California (beata a lei) ci ha fatto lavorare praticamente sulla stesura di un progetto. Ma chi nella progettazione ci lavora, sa che un conto è presentare un progetto in una scuola, un altro conto è compilare un progetto in base ai format dei vari bandi. La mia collega Pina che da più tempo lavora in questo campo, ogni tanto mi assegna qualche “compito”, qualche pezzo di bando da compilare (soprattutto se si tratta di strutturare la formazione) e così con la sua guida ho imparato cose di cui mai avrei osato sospettare l’esistenza. E poi google. Quando tutto manca, troverai sempre qualcuno che avrà fatto la cosa che stai facendo prima di te!
g) Strutturazione di corsi di formazione: l’ho imparato guardando, soprattutto facendo da tutor e assistente nei corsi di psicodiagnosi, prima di essere lanciata nell’insegnamento.
h) Accreditamento di enti. Avete mai provato a farvi accreditare come provider ECM? Se sì, non c’è bisogno che parli. Se no, ci vediamo qui fra un paio di anni…Niente e nessuno può prepararti davvero ad avere a che fare con la burocrazia dello Stato Italiano.
Per il prossimo autunno ci sono altre possibilità in ballo, ma è meglio non dire gatto se non ce l’hai nel sacco 😉
Ma perché questo lungo elenco? Perché sto leggendo i risultati della mia piccola ricerca sugli abilitandi alla professione di psicologo e non posso fare a meno di pensare che per due prove su quattro (ma a volte pure tre) sono solo parzialmente (e a volte pure MOLTO parzialmente) preparati.
La prima prova gli chiede di richiamare conoscenze che dovrebbe avere e ok, a parte la noia, una laurea siamo arrivati tutti a prenderla se stiamo affrontando l’eds.
Ma per il progetto? In quante università si viene effettivamente preparati a scriverne uno? E il progetto che viene richiesto all’eds è piuttosto semplice come struttura, facciamo la domanda vera: in quante università si viene formati a leggere un bando per scrivere un vero progetto?
Il caso clinico, poi, è un tasto dolentissimo. Di teoria della clinica se ne fa tantissima (ed è fondamentale, non sentirete mai da una secchiona come me dire il contrario!), ma quanti hanno poi l’effettiva occasione di mettersi alla prova in un tirocinio post laurea effettivamente formativo? Io non ero preoccupata dalla III prova perché durante il tirocinio post laurea ne avevo davvero viste di tutti i colori e avevo trovato anche un confronto veramente soddisfacente con diversi professionisti e professionalità. Ma quanti possono dire lo stesso?
Per non parlare dell’orale! Chi ha mai sentito parlare di codice deontologico all’università? Le facoltà che hanno nel piano di studi dei corsi al riguardo si contano davvero sulle dita di una mano…eppure credo che la formazione alla propria deontologia professionale sia fondamentale in quel processo di costruzione dell’identità che più di tutto, secondo me, ci tutela dallo sfruttamento e dagli errori!
Finalmente stiamo facendo dei passi avanti su una definizione sempre più efficace e comprensibile della nostra professione…ma mentre facciamo questi passi avanti, forse dovremmo anche guardarci indietro per consentire a questi temerari che, nonostante una situazione occupazionale tragica, si iscrivono alla facoltà di psicologia di essere sempre più efficacemente preparati ad affrontare compiti e sfide professionali!
Continua la mia personale crociata contro la mia ignoranza.
Non mi arrendo!
Superato il trauma di aver appreso all’improvviso di essere una counselor perché non lavoro sull’inconscio (qui il mio dramma personale), mi imbatto di nuovo in un’affascinante discussione, a partire dall’approvazione dell’art.21.
A rendere la cosa DAVVERO interessante è che questa volta dall’altra parte non c’è il counselor che cerca di spiegarmi perché non svolge in nessun modo abuso della professione di psicologo (E IO, SENZA INUTILI IRONIE, MI SFORZO DI CREDERLO CON TUTTA ME STESSA), ma uno psicoterapeuta che forma counselor.
INTENDIAMOCI, e non mi stancherò mai di ripeterlo, non c’è niente di male a formare chicchessia. E io, che ADORO insegnare, sarò ben lieta di insegnare anche in un corso di counseling. Naturalmente per preparare al meglio le mie lezioni, dovrò capire quali sono le funzioni che questo professionista andrà a svolgere, in modo da scegliere argomenti e modalità più funzionali ed efficaci!
Nella discussione, dove si tirano fuori i soliti articoli della costituzione bla bla, all’improvviso, con la scemenza che mi caratterizza, affermo che la ragione di infervorarsi non c’è. I counselor non fanno gli psicologi, NON POSSONO, quindi il problema dov’è?
Tutto qua. Ma solo a me sembra così semplice? Eppure non sono più intuitiva della media, anzi!
Che fa un counselor?
E che ne so io! Mica è compito mio capirlo! E’ compito loro, e non sono ironica.
La legge dice che sono riconosciute tutte le professioni non organizzate in ordini e collegi.
PUNTO.
Non elenca nessuna professione, non riconosce niente nello specifico.
Anzi, dice pure che queste nuove professioni non devono svolgere atti già di pertinenza di professioni già regolamentate (e ci mancherebbe). Ed esclude le professioni sanitarie.
Durante la discussione allora accade una cosa strana. Spunta un’affermazione inquietante che suona più o meno così
io mi fiderei di più di un counselor che ha fatto terapia personale che di uno psicologo
Sorvolerò sul fatto che ho sentito counselor spacciarsi per terapia personale 30 ore fatte in gruppo, la frase ha una logica contorta, che si risolve con una semplice specificazione:
pe’ ffa’ che?
Se devo costruire un muro, mi fiderò più di un muratore che di un pilota di aerei.
Se devo fare la torta per mia nipote, mi fiderò più del pasticciere che dello spazzino.
Se devo riparare una frattura mi fiderò più di un ortopedico che del panettiere.
Le metti a paragone, allora sottendi che fanno lo stesso lavoro?
Ma allora è così o non è così?
Io non capisco veramente; con una mano mi spiegano che il counseling non fa quello che fa lo psicologo, poi li si mette a confronto.
Ralph è qui perché mi sento come lui quando non capisco le cose…
Non capisco non capisco.
Mi chiedo pure cosa capisca uno che va a un corso di formazione in counseling. Capisce che può fare lo psicologo senza studiare psicologia (questa non è mia, l’ho letta su una locandina promozionale)? E’ messo in condizione di capire che lo psicologo è una persona con cui può collaborare, anzi, molto probabilmente collaborerà, ma rispetto al quale fa un lavoro diverso, quale, al momento, io non sono ancora riuscita a capire?
Mistero misterioso.
Ma andiamo oltre l’ignoranza, perché trasversalmente l’affermazione del collega pone una questione interessante (e pure questa un poco inquietante). Qual è il livello di preparazione dei colleghi che escono dalla laurea quinquennale?
La preparazione universitaria dal punto di vista teorico mi sento di dire che è di ottimo livello, la vera criticità sta nei tirocini. Non conosco la situazione nel resto d’Italia, ma qui in Campania sono poche le isole felici dove vedi la clinica e i tutor ti aiutano nel complesso processo di costruzione che è la tua identità di professionista psicologo.
Le esperienze che si possono fare sono quasi opposte, ma entrambe fortemente rischiose dal punto di vista formativo.
La prima è quella di passare 6+6 mesi a rispondere al telefono, a fare fotocopie e accettazione, a passare più tempo a prendere il caffè con gli infermieri che nelle stanze con psichiatri e/o psicologi.
La seconda è quasi più aberrante. Si viene lanciati, nudissimi, nella mischia, in piena sostituzione del personale che manca nella struttura.
Per non parlare, poi, di tutte le criticità che caratterizzano quelli che non vogliono fare della clinica il loro mestiere, ma hanno scelto, ad esempio la psicologia del lavoro. Trovare una sede di tirocinio per loro credo sia un’autentica impresa.
Ma stiano sereni, l’impresa ormai sta diventando titanica per tutti, compresi gli specializzandi in psicoterapia…
Accanto a questi estremi ci sono le perle rare. Io ne ho beccate più in fila. Di sicuro ci ho messo del mio, non arrendendomi al primo nome che mi capitava, informandomi, chiedendo.
E sono stata fortunata, perché accanto ai tutor ho trovato specializzandi più avanti di me che mi hanno permesso di costruire un’identità professionale, oltre che acquisire competenze.
E’ anche per questa fortuna (forse giusto premio per l’audacia nel pretendere di farlo il tirocinio, di non accontentarmi, per esempio di qualche seminario, a costo di rimandare la laurea di 3 mesi…) che sento ogni volta che ho la possibilità di restituire alla comunità quello che io ho ricevuto.
Ma a parte le esperienze e le volontà personali, c’è un problema che resta: spesso l’anno di tirocinio è più formale che formativo.
Si può ovviare a questo? C’è la volontà di ovviare a questo? E la risposta è sì ad entrambe le domande, come?
Diventerebbe allora interessante l’affermazione del collega di cui sopra, che richiama, credo, a un sistema di formazione tutto da rivedere.
Devono soffrire di grave gomito del tennista
Spesso chi forma i counselor dice che il professionista non è fatto dalla laurea, ma dalle competenze. Mi parlano di sistemi di accreditamento di percorsi formativi diversi e mi affascinano pure, ma poi mi chiedo: perché questa cosa dovrebbe valere solo per la psicologia? Non dovrebbe pure valere per l’avvocato, il medico, l’ingegnere e tutte le altre 28 professioni?
[Naturalmente quando mi viene avanzata questa riflessione, ci tengo a far notare che ciò vorrebbe dire che allo stato i counselor già fanno gli psicologi di straforo, altrimenti perché porsi il problema?].
Non dico che non sarei d’accordo, anzi, un sistema del genere potrebbe anche essere interessante, solo ho delle perplessità…ad esempio, così eh, mi arrivano voci, sentito dire di sentito dire eh, io niente sacciu, ma pare che in alcuni centri di formazione esistano dei veri e propri “addetti all’attestato”…così, per dirne una…
In questi giorni durante un convegno ho sentito dire due cose tremende. La prima era che dovremmo rinunciare a un po’ di etica per essere più competitivi sul mercato (MAI MAI E POI MAI, piuttosto faccio l’addetta all’attestato!), la seconda è che in fondo noi usiamo solo la parola, non tagliamo braccia. Messe insieme queste due affermazioni (ma pure separatamente devo dire) creano in me un allucinante sconcerto, mi hanno urtato nell’intimo. Io sento ogni volta un’enorme responsabilità quando una persona si siede nel mio studio, mi mostra la sua vita “viscerale” e mi chiede una mano per stare meglio. E per responsabilità non intendo “narcisistico potere di salvezza”, ma responsabilità etica di dover pesare, tra le altre cose, anche i miei limiti rispetto alla sua richiesta, oltre che impegnarmi a scovare gli strumenti in mio possesso. Chi si mette in gioco, inoltre in un momento di fragilità, deve avere il massimo della garanzia, sia dal punto di vista etico sia professionale.
Insomma, in conclusione, devo dire che rileggendo l’articolo l’unica cosa che davvero dice questo pezzo è che al momento ho una resistenza a scrivere un articolo che parli pienamente dell’identità dello psicologo. Ma guarirò, e scriverò un capolavoro! (possibilmente più conciso di questo papiello).