No, non c’entra nulla né il mio pensiero brillante, né la mia originalità, né, figuriamoci, la mia avvenenza.
La ragione è una sola: ieri, 30 Giugno 2014, è scattato l’obbligo di POS.
Nel precedente articolo sull’argomento, quello su cui sono capitati un paio di centinaia di lettori in poche ore in cerca di informazioni, avevo ricostruito e commentato la cronologia di questo romanzo surreale tutto all’italiana. Avevo poi aggiornato di settimana in settimana il post con le informazioni provenienti dai vari ordini, enti ed istituzioni: a questo punto penso sia più utile e chiaro scrivere cosa da ieri può accadere nel concreto negli studi degli psicologi.
Una volta mi hanno chiesto l’origine del titolo del mio blog: SenzaCamice.
La genesi leggendaria (tutte le cose fighe e di culto ne hanno una!) racconta di una giornata di caldo atroce di ritorno dal policlinico.
Il tirocinio al policlinico era tutto un mettere e togliere il camice, entrare e uscire dal reparto.
Un tirocinio formativo meraviglioso, come quasi tutti quelli che hanno caratterizzato il mio percorso di formazione come psicologa prima e psicoterapeuta poi.
Quel giorno, quello di caldo atroce, era anche il mio ultimo giorno di tirocinio e giù tutto un grande affollamento di domande.
Mi collego a Facebook e trovo la bacheca inondata da colleghi entusiasti e speranzosi per l’ennesima affermazione del Presidente Palma che ribadisce la necessità dello psicologo di base o per l’ennesima sperimentazione comunale/provinciale/regionale che vede lo psicologo affiancare il medico di base.
Non sono una sociologa, ma non credo di andare troppo lontano dal vero se dico che in periodi di crisi, i riferimenti istituzionali perdono credibilità agli occhi dei cittadini. Per ragioni più o meno meritate, intendiamoci.
Allo screditamento delle istituzioni si affianca ora un fenomeno più moderno: quello della diluizione delle fonti.
Quando ero piccola ero una bambina molto noiosa. Per darvi la misura di quanto appena detto, vi basti sapere che in III elementare chiedevo a mia madre di non mandarmi a scuola per vedere i filmati Luce su Rai3 alle otto di mattina.
La passione è rimasta tale e quale ma, stando a quello che si dice in giro di me, non sono più considerata [tanto] noiosa.
Fine premessa.
FINALMENTE DISPONIBILE SU YOUTUBE IL FILM COMPLETO!
Ho visto “LA PSICOLOGIA ITALIANA RACCONTATA A MIA FIGLIA”, documentario prodotto dal CNOP, autore Raffaele Felaco, Presidente dell’Ordine della Campania.
Come si evince dal trailer, il Presidente Felaco ha viaggiato per l’Italia e ha intervistato i padri fondatori della psicologia nel nostro Paese.
In una suggestiva alternanza di riprese interne ed esterne su molte delle più belle città italiane, come Bologna, Roma, Firenze, Napoli, Milano, Torino, personaggi chiave della nostra storia come Piero Amerio, Giulia Villone Betocchi, Adriano Ossicini, Renzo Carli, Renzo Canestrari, ricostruiscono il contesto storico, culturale, sociale e politico che ha portato alla nascita della psicologia in Italia, culminata con la Legge 56/89.
Il racconto offre spunti interessanti, soprattutto perché è davvero difficile per una persona della mia generazione inquadrare la cornice di quel periodo.
Tra gli spettatori stasera c’era anche chi era giovane durante quegli anni, magari pure ignaro dei cambiamenti che si stavano mettendo in moto. C’era quindi chi a 18 anni aveva sognato la psicologia e poi all’improvviso aveva visto il sogno materializzarsi. Quello che magari appariva solo un miraggio per quei giovani ostinati, che erano costretti a iscriversi a facoltà “affini” per studiare la psicologia, si era potuto realizzare grazie all’azione dei pionieri intervistati in questo film.
Così, mentre Giulia Villone Betocchi, unica donna intervistata, racconta, io,all’improvviso, comprendo.
Quei pionieri ora siamo noi.
O almeno questo sembra il ruolo che la mia generazione deve prendersi rispetto alla storia.
La RIVOLUZIONE DELLA PSICOLOGIA, per usare le parole di Ossicini all’inizio del film, è sulle nostre spalle.
Ci vogliamo scansare e farci un po’ più in là, magari al ritmo di Raffaella Carrà, o vogliamo accettare una sfida destinata a essere molto dolorosa, che ha già fatto morti e feriti, sotto la scure del clientelismo, del disinteresse e della sfiducia, prima ancora della crisi?
A queste mie profonde riflessioni, certamente di elevata caratura intellettuale, si accompagnano però domande più prosaiche, che hanno fatto anche il giro del web, dopo la presentazione del trailer.
Le riporto, perché ad alcune posso rispondere, grazie ai chiarimenti del Presidente Felaco.
a) La “figlia” del titolo chi è? La domanda è pure un poco scherzosa, considerando che il Presidente Felaco non ha figlie femmine! La figlia cui ci si riferisce è la società futura: in questo senso il film vuole essere una sorta di eredità ai posteri.
b) A chi è rivolto il film? Psicologi? Non-psicologi? E con quale scopo? Ho posto la domanda al Presidente, il quale ha chiarito che il film è certamente una eredità per gli psicologi, un modo di nutrire le radici per dare più forza ai rami giovani; ma è anche un documentario assolutamente divulgativo, destinato a tutti. Quest’ultimo aspetto mi ha lasciata personalmente perplessa. Riprendendo le parole di una delle spettatrici, i personaggi intervistati sono di spessore e altrettanto “spessi” sono i loro discorsi. Uno spettatore all’asciutto di psicologia rischia di ricavarne la sensazione di una psicologia troppo astratta e lontana dalla quotidianità della vita. Se dovessi occuparmi di comunicazione per conto del CNOP, personalmente non utilizzerei questo documentario per mostrarlo al “grande pubblico”. Trovo invece che possa essere un utile strumento di dibattito con gli studenti e i giovani psicologi. Lo stesso Presidente Felaco commentando un altro articolo sul documentario scritto dalla redazione di Humantrainer [potete leggerlo qui CLIKKA ] scrive:
Ringrazio tutti per i commenti e per l’interesse mostrato per questo lavoro che ho molto amato. Il messaggio che i grandi colleghi che ho intervistato ci lasciano in questo film, da la dimensione del valore sociale della nostra professione e ci rende fieri di svolgerla con passione e dedizione. L’interesse del CNOP è di far vedere a quante più persone possibili il film, infatti nella prossima settimana saranno distribuite copie a tutti gli Ordini, agli Atenei e alle Scuole di psicoterapia riconosciute. Stiamo anche studiando una possibile distribuzione accessibile a tutti. Gli aggiornamenti li troverete sul sito del CNOP psy.it. Personalmente resto disponibile per chiunque voglia organizzare una proiezione. Cordialità Raffaele Felaco
c) Quanto è costato al CNOP? (ossia a tutti gli psicologi?) In rete circolano alcune cifre che non riporto per non alimentare sterili polemiche. Il punto, infatti, come in qualsiasi progetto, non è la cifra in sé, ma il RITORNO DELL’INVESTIMENTO (ROI). Trattandosi di un “lavoro intellettuale” , non possiamo certo aspettarci un ritorno direttamente economico. Si aprono quindi delle “sottodomande” sulla qualificazione di questo ROI, a partire, naturalmente, dalle “popolazioni bersaglio” cui il film è destinato. Ad esempio: per la “popolazione psicologi” lo scopo è generare consapevolezza attraverso la memoria storica. Per la popolazione “grande pubblico” lo scopo è incidere sull’immagine dello psicologo. Su questi due obiettivi il film incide in misura tale da giustificare l’investimento? Ai posteri l’ardua sentenza…
d) Perché solo UNA DONNA, per una professione che attualmente conta una presenza femminile all’80%? Questo non si è capito, un difetto dell’opera riconosciuto dallo stesso Presidente Felaco.
e) E infine la domanda che tutti si pongono alla fine di un film, chi con terrore, chi con entusiasmo e trepida attesa: CI SARA’ UN SEQUEL? La risposta è Sì! O almeno probabilmente: il Presidente Felaco ha annunciato di aver già avanzato la sua proposta per un film stavolta centrato sui giovani psicologi.
Il voto di senzacamice-versione psycomymovies sarebbe di 3 stelle su 5 se il film fosse rivolto solo agli psicologi. Mezzo punto in meno perché mi convince poco come operazione divulgativa rivolta a un pubblico di “non addetti ai lavori”.
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Smessi i panni da esperta di cinema (eh???) restano quelli da psicologa, che non può fare a meno di restare perplessa, in generale, su alcuni aspetti delle strategie di comunicazione e promozione delle nostre istituzioni, locali e nazionali.
Quelle [poche] operazioni che si sono viste nel corso dell’ultimo quadriennio hanno e hanno avuto carattere per lo più autoreferenziale.
Anche dopo la visione del film, come pure dopo la notizia che il CNOP avrebbe comprato pagine sui quotidiani per la promozione della professione [il mio commento serafico fu – 3 giorni in 4 anni. Sarà mica troppo? – ], non ho potuto fare a meno di chiedermi: ma è questo quello che ci serve oggi? Sono davvero queste le strategie di promozione della professione?
O forse ci occorrono progetti meno ingessati, meno autoreferenziali, ma più efficaci per entrare a pieno diritto nel dibattito sociale, che diano la percezione di uno psicologo assolutamente diverso dall’inavvicinabile e allarmante medico dei pazzi?
Ho difficoltà a lasciare ai posteri questa ardua sentenza perché i posteri, ora, siamo noi.
In queste settimane, in cui solo apparentemente sto trascurando il blog e tutti i suoi NUMEROSISSIMI fans, sto cercando di raccogliere materiale per alcuni articoli di “educazione civica” per gli psicologi.
Convinta di dover a tutti i costi contribuire alla costruzione di una cultura di condivisione tra psicologi come se non avessi altro da fare nella vita e come se a qualcuno importasse davvero, mi sono messa in testa di voler ricostruire la storia della politica professionale della psicologia.
Un’impresa che si sta mostrando straordinariamente complicata, a dispetto di una professione assolutamente giovane; in fondo sono nata prima io e poi la professione di psicologo in Italia!
Ma la maggior parte degli psicologi non conosce i principali “partiti” della psicologia italiana, conosce in maniera vaga gli effettivi compiti dell’Ordine, ignora per lo più di avere persino un sindacato!
Credo che le prossime elezioni ordinistiche e il quadriennio che ne seguirà saranno decisivi per capire che strada vogliamo far prendere a questa professione in Italia.
E un eventuale cambiamento pesa sulle spalle della mia generazione, semmai vorrà farsi carico dell’ingrato compito di fare scelte che, inevitabilmente, finiranno per scontentare qualcuno. Noi stessi per primi.
Ma il quadro attuale ci lascia poco tempo per tergiversare.
Con gli attuali trend, si prevede che nel 2016 (che è domani in pratica) ci saranno in Italia 100mila psicologi (un terzo di quelli di TUTTA Europa).
Gli psicologi sono sempre in fondo alle classifiche in quanto a reddito.
Le università continuano a sfornare laureati in psicologia spesso inconsapevoli di cosa faccia realmente uno psicologo e pure di cosa li aspetta, destinati per lo più a restare impantanati in eterne formazioni (spesso cannibaliche) e ad andare a imbottigliarsi nell’unico ramo della psicologia che l’università gli ha messo davanti: la clinica e la psicoterapia.
Colleghi prontissimi e capaci, ma assolutamente impreparati dal punto di vista del marketing e del business, predisposizione e competenze senza le quali la vedo dura affermarsi come liberi professionisti, che è la strada che aspetta ciascuno di noi, a meno di non voler credere che i vari psicologi di base diventino realtà consuete e consolidate in tempi brevi…[ad esempio: lo psicologo del territorio come camminerà?]
E in risposta a questi punti caldi andranno prese decisioni amare.
Limitare l’accesso all’università?
Riformare i corsi di laurea in modo da inserire competenze di marketing e business già negli studi universitari?
Allargare lo sguardo della psicologia già dall’università, allontanandolo dalla clinica?
Riformare l’esame di stato, rendendolo realmente selettivo, fino a stabilire un numero di abilitati che è possibile sfornare ogni anno in misura delle richieste del mercato?
Possibili scontenti? Tutti.
Gli aspiranti psicologi e il loro diritto a studiare e quindi ad aspirare.
Le scuole di specializzazione, che se non hanno studenti come fanno a sopravvivere?
Gli psicologi che campano formando altri psicologi.
Lo Stato, che finirebbe per non poter contare più su una massa di mano d’opera disposta a offrire competenze in forma gratuita nella maggior parte dei servizi del SSN.
Partirò da un punto che sembra lontanissimo e che pare non avere nulla a che fare con la psicologia. Ma spero di riuscire a scrivere in maniera sufficientemente chiara da far capire cosa intendo.
Due sono i fatti che in questi giorni ho in testa.
Uno è il risultato del referendum sul nostro codice deontologico. Ad interessarmi sono in particolare i dati sulla scarsissima affluenza (meno del 15%).
L’altro è che un signore che ha detto
posso curare tutte le malattie del mondo!!
riceverà dal Ministero della Salute ben 3 milioni di euro per sperimentare questa sua affermazione.
La faccenda di Davide Vannoni, del Metodo Stamina, delle Iene, della piccola Sofia scoppia in maniera eclatante questo inverno con i servizi di Giulio Golia sui presunti miglioramenti che dei bambini avrebbero a seguito delle infusioni di cellule staminali preparate con questo Metodo Stamina.
Scatta l’onda popolare, le manifestazioni, le proteste, la solidarietà a Vannoni, ostacolato dal complotto delle case farmaceutiche, la crudeltà della scienza che non concede a questi piccoli bambini nemmeno l’ultima speranza. Si susseguono i servizi di Giulio Golia. La pagina Facebook di Vannoni si popola di seguaci e messaggi di incoraggiamento.
Sembrano quelle feste in cui mentre tu sei concentrato a fissare gli splendidi fuochi d’artificio, ti sfilano il portafoglio. Perché mentre tutti guardano i servizi di Giulio Golia, si ignora che di questo Metodo non si sa niente, non si conoscono le procedure, non si ha un protocollo, si ignora un’indagine di Guariniello su una presunta pericolosità delle procedure, si ignora l’origine della storia (potete trovarla ricostruita qui). Si ignora anche che non c’è una pubblicazione, uno studio, nulla che parli di questo metodo, si ignorano pure una serie di brutte figure, come la foto copiata da uno studio ucraino e utilizzato per presentare una richiesta di brevetto (poi ritirata, qui ritrovate una ricostruzione dei fatti).
Direte voi:
ma cosa c’entra tutto questo con la psicologia?
C’entra più del fatto che, ahimè, Vannoni viene talvolta fatto passare per psicologo e talvolta in maniera dispregiativa come “psicologo che vuole fare il medico”… Vannoni, per la precisione, è un laureato in lettere, insegna psicologia della comunicazione e si è occupato, che curiosità, di comunicazione persuasiva…
Ma c’entra per un altro aspetto.
Chi è psicologo sa bene quanto è complicato farsi finanziare una buona idea. Anche quando questa è stata ampiamente testata da altre parti, con successo ed efficacia.
Sì, lo confesso, il Vannoni attualmente è la mia ossessione!
Com’è stato possibile per lui ottenere cosìuna sperimentazione che costerà TRE MILIONI di Euro e, per dirne una, i Centri Antiviolenza di cui vi parlavo qui [CLIKKA] rischiano di chiudere perché non arrivano più fondi?
Eppure ci secchiamo le lingue a urlare di quanto ci sia bisogno di soluzioni e sostegno alle persone, soprattutto donne, che subiscono violenze, spesso nel contesto domestico.
Il fatto che ci sia un bisogno riguardante questo aspetto, è acclarato. Il fatto che un centro antiviolenza possa rispondere a questo bisogno lo è altrettanto.
Allo stesso modo: il fatto che ci sia bisogno di fare qualcosa per chi ha delle malattie che finora la scienza non riesce ancora a curare è pure un altro fatto, altrettanto grave. Che Davide Vannoni e il Metodo Stamina siano la risposta a questo bisogno non so quanto possa essere una risposta a questo fatto.
E sinceramente non trovo accettabile la risposta – Se non si fa la sperimentazione non lo sapremo mai – perché allora anche un personaggio che asserisce di curare il tumore col bicarbonato (parlo di questo qui) ha tutto il diritto di pretendere di sperimentare la sua metodica.
Però qui il punto non è Vannoni in sé, la mia opinione al riguardo penso sia sufficientemente chiara.
Il punto che dovrebbe interessare molto noi psicologi come categoria è: come mai spesso non riusciamo a farci finanziare nemmeno il più brillante, testato, efficace dei progetti?
E arrivo alla percentuale del 15% di partecipazione al referendum. La cosa è sconfortante, dalle parole del Presidente Palma mi pare di intuire che non è in previsione una riflessione su cosa faccia e pensi il restante 75%.
Così pensavo a un passaggio estremo: che sia l’ora di chiuderlo quest’ordine?
La netta maggioranza degli psicologi lo ignora quando ci chiama a raccolta. Molti di noi, e me per prima, sentono che l’Ordine vive su Marte e non ha idea di cosa accada nella vita quotidiana di noi poveri psicologi terrestri (magari pure giovani e magari pure liberi professionisti).
Inoltre mi costa personalmente 155 euro all’anno che, in tutta sincerità, non sento tornarmi indietro neanche con il più creativo degli sforzi; la mia iscrizione la sento come una tassa e basta, non come un’iscrizione a qualcosa capace di offrirmi un servizio. Ma se rispetto ai servizi, Regione che vai – Ordine che trovi, è a livello nazionale che la distanza si fa ancora siderale. Da Marte si passa tranquillamente a Plutone (che non è neanche più un pianeta?).
Poi l’amico Christian, mentre parliamo di tutt’altro, mi illumina con una frase e comprendo. Mi dice
Non possiamo chiudere una cosa che non è mai stata aperta
Allora ecco quello che penso. Così come funziona l’Ordine è un’istituzione per lo più fallimentare. Vanno chiusi? Va liberalizzato tutto? E’ un’idea, lo è di alcuni colleghi.
Non è la mia però.
Non solo perché diffido della totale liberalizzazione in generale…soprattutto in Italia…
Ma perché penso che la nostra più grande colpa, come categoria professionale, è di non aver mai avuto la capacità politica di affermare quello che è sotto la luce del sole. Lasciamo che i familiari dei malati di cancro si debbano arrangiare da soli, che persone di tutte le età sperperino quei quattro soldi che hanno in tasca alle slot, chiudono i centri antiviolenza, nei Ser.T. (giusto per citare quanto accaduto durante la Giornata Mondiale contro le Droghe del 26 Giugno) s’è perso l’85% degli psicologi, nelle scuole la prevenzione e il sostegno sta in mano a volenterosi (a volte pure troppo volenterosi…) colleghi.
Allora sì, gli Ordini sono già chiusi e vanno chiusi definitivamente, se semplicemente devono essere terreno di guerra e spartizione, tra scaramucce personali, di quartiere, di confine, di scuole di specializzazione.
E così con loro portano a morire appresso tutti noi.
Oppure si devono aprire.
O meglio ancora: DOBBIAMO farli aprire, a costo di fare come quei petulanti venditori che continuano a bussare alla porta finché qualcuno non si arrende a farti entrare.
Leggo e rileggo quest’ultima frase che suona un po’ da sessantottina…ma ho 30 anni e nulla più da perdere, se la cosa che amo fare nella mia vita…