Alla seconda esperienza in un grosso convegno di psicoterapia, le prime riflessioni sono:
1) Com’è possibile che, nonostante la nostra professione sia svolta soprattutto da donne, in queste occasioni l’80% dei relatori è di sesso maschile?
2) Ancora una volta una conferma che non sappiamo parlare efficacemente della nostra professione (di cui avevo parlato qui). Sono seduta in platea da due ore, ho visto scorrere almeno sei serie di slide in powerpoint e cinque erano assolutamente oscure. Si salva il bel lavoro sul coraggio del prof. Manfrida, sul senso del coraggio per i terapeuti
3) L’età media, non me ne vogliano i “maestri”, è sempre tristemente alta. L’esperienza dei grandi è affascinante, ma non posso fare a meno di osservare a tratti più o meno lunghi una lentezza pachidermica e osservazioni banali, se non addirittura superate…ma da decenni intendo…mi domando, combattuta da una certa arroganza, se sono io che leggo troppo o alcuni di loro che, arrivati a un certo punto della vita, hanno accumulato tutta la sapienza cumulabile nel corso di una vita e lì sono rimasti…Cioè…voglio dire…siamo al convegno di terapia familiare…rivolto a terapeuti familiari…davvero dobbiamo fare una slide dove è scritto
il terapeuta familiare non si connette al singolo individuo, ma all’intero sistema familiare
?
Accanto a questo, però, non posso esimermi dal non fare un’autocritica rivolta a noi “giovani” terapeuti, che possiamo, ma soprattutto DOBBIAMO fare di più, in termini di evoluzione, adattamento e diffusione del nostro modello.
