Capita almeno una volta al mese. In questo o quel gruppo mi imbatto nello screenshot su questa o quella offerta di un collega su groupon (o portali simili) dove si offrono prestazioni a prezzi scontati.
Si grida allo scandalo, alla svalutazione, si invoca l’intervento delle commissioni deontologiche.
Fermo restando che:
gli Ordini su questo non hanno alcun tipo né di responsabilità né di potere (vale per quello degli psicologi, vale per tutti gli altri, pure multati quando hanno tentato di sanzionare deontologicamente i propri iscritti);
E’ il gioco di prestigio più riuscito: si scrive “volontariato”, si legge “lavoro gratuito”.
Per me oggi è la giornata nazionale delle parole che si scrivono in un modo e si leggono in un altro.
La parola “volontariato” è la più rappresentativa.
Tu metti in fila le lettere correttamente, ma non stai parlando di quel nobilissimo atto in cui una persona presta il proprio tempo e a volte pure competenza per il prossimo.
Stai molto più frequentemente parlando della tua presenza essenziale in un reparto, servizio, Asl per permettere il regolare svolgimento delle attività. E quello si chiama “LAVORO”.
Oppure stai parlando del fatto che frequenti un reparto perché senti che la tua preparazione è incompleta e devi fare esperienza. E quello si chiama “TIROCINIO”.
Non sono solo i concorsi ormai a chiederti di lavorare al ribasso, spesso anche all’interno dei propri studi i colleghi propongono 3-6-1000 colloqui gratuiti o a prezzi stracciatissimi.
In principio era il libero professionista e il suo studio.
Per evitare di restare fermi al principio, è bene attrezzarsi per escogitare qualche strategia utile a intercettare quanti più pazienti.
In questo arrovellarsi di pensieri strategici, è molto probabile che fra le prime idee a saltare in mente ci sia quella di offrire il primo colloquio gratuito.
In questo articolo intervisterò due psicologhe che stanno vivendo un’esperienza incredibile, impensabile, inimmaginabile: sono pagate per fare uno sportello d’ascolto in una scuola!
Quelle in cui si torna a casa alle dieci di sera alla fine di 24 ore dove si è fatto sala d’attesa dal dirigente che ti ha spicciato in tre secondi, dove si è pranzato con i colleghi dell’associazione, in una mano la fetta di margherita, nell’altra l’ordine del giorno, dove il caffè lo si prende al volo prima di andare a parlare con quel tizio per vedere se c’è modo di concretizzare quell’idea geniale che ti è venuta in mente nottetempo.
Quelle giornate in cui a sera ti rendi conto che hai meno soldi di quanti ne avessi la mattina.
Che saresti stato più ricco se fossi restato a casa a far nulla.
Ci sono eccome. Quelle sere che ti metti a letto e il dubbio ti assale.
E se avessi fatto in un altro modo?
Se quella volta che il dirigente asl mi hanno detto “dai, facci un po’ di formazione gratis” [lo raccontavo qui], avessi detto sì, ora si ricorderebbe di me e magari potrebbe darmi un’occasione?
Se mi fossi messa anche io a fare gli sportelli gratuiti per qualche anno nelle scuole invece di pretendere sempre e solo di fare progetti pagati, forse ora avrei un giro più ampio di pazienti privati?
Se avessi continuato il volontariato, invece di andarmene, e pure un poco sdegnata, forse avrebbero trovato il modo di farmi fare qualche progetto?
Se avessi fatto scelte politiche diverse, ora starei pure io in qualche stanza a pigiar bottoni?
Avanzi di riunione
Questa mia convinzione che mollare un pezzo della propria identità, corromperla, comprometta non solo il lavoro, ma anche il futuro e il benessere, non sarà un po’ troppo rigida?
Forse se avessi ceduto un pezzettino qua e là potrei passare più tempo su una poltrona non su uno scomodo sedile di automobile.
Magari avrei qualche rimborso spese, non dico il posto fisso, e non dovrei preoccuparmi di inventarmene sempre una nuova, e sempre più con costi vicino allo zero, per promuovere l’attività privata o le attività dell’associazione.
Ci sono eccome giornate così. Poi ti addormenti.
E la mattina dopo magari trovi in chat il messaggio di un compagno che non sta messo meglio di te che ha avuto un’idea e ti vuole coinvolgere. Ti chiama un ex allievo che vuole fare l’esame con te, non perché sei quella più buona, ma perché “le tue lezioni erano grandi, ho voglia di vederti e salutarti!”. Vai a pranzo a casa di un collega, che tu piaci alle mamme di tutti i colleghi, che adorano cucinare per te e non ti fanno sentire mai un ospite.
E’ per questo enorme potere energizzante dei sistemi che credo profondamente nella condivisione tra colleghi. Il libero professionista non può permettersi la solitudine, l’egoismo.
Non può permettersi la cazzimma.
Perché la brutta giornata è dietro l’angolo, perché il momento in cui la voglia di arrendersi s’aggrappa allo stomaco sta lì in agguato proprio quando ti senti più stanco.
Perché la malapolitica, il clientelismo, il malaffare, ci possono togliere molte cose, anche le molte che meriteremmo.
In principio era il libero professionista e il suo studio.
Per evitare di restare fermi al principio, è bene attrezzarsi per escogitare qualche strategia utile a intercettare quanti più pazienti.
In questo arrovellarsi di pensieri strategici, è molto probabile che fra le prime idee a saltare in mente ci sia quella di offrire il primo colloquio gratuito.
La domanda allora sorge spontanea: questo colloquio gratuito serve a far venire più persone nel nostro studio?
La mia riflessione non vuole vertere sugli aspetti motivazionali del paziente: ancora una volta utilizzerò il crudelissimo punto di vista del marketing.
Anch’io all’inizio della mia attività ho proposto il primo colloquio gratuitamente.
Ma da subito è cominciato ad accadere un fatto curioso.
C’è davvero un’ironia sottile e amarissima in questa nuova iniziativa promossa dall’Ordine, frutto di quel protocollo di intesa con le scuole, avviato subito dopo quest’estate.
Il nuovo progetto si chiama: USO RESPONSABILE DEL DENARO, ed è buffissimo, sul serio.
Dunque, si deve innanzitutto spendere un pomeriggio per la formazione al riguardo (tempo+viaggio a Napoli+parcheggio a Napoli).
Poi, si devono rincorrere le scuole (altro tempo).
Poi si deve andare nelle scuole a fare la formazione (altro tempo+spostamenti+organizzazione del seminario+promozione del seminario).
Professionisti che impiegano irresponsabilmente e gratuitamente il loro tempo e le loro conoscenze per spiegare ai giovani come usare responsabilmente il denaro…
Tutto ciò in un’istituzione di certo bisognosa della nostra presenza (eccome se è bisognosa!!), ma che ogni volta che presenti un progetto ti risponde:
a) Non abbiamo soldi. Ce lo fai gratis? (Ricordo la mitica risposta di una collega che con infinita educazione chiese al dirigente scolastico – Mi scusi, lei che direbbe a sua figlia se a 30 anni accettasse di lavorare gratis? –)
b) Abbiamo già chi ce lo fa gratis (E torniamo sempre lì…questi mitologici sportelli d’ascolto che colleghi tengono gratis per anni e secoli).
Non entro nel merito della condizione attuale della scuola, credo che di fiumi di parole ne siano stati spesi ben oltre la sufficienza…
Entro nel merito di una strategia di promozione e tutela professionale.
Che messaggio arriva alle scuole quando è il nostro Ordine professionale a promuovere la nostra presenza nelle scuole in forma gratuita?
Si potrebbe dire che questo protocollo di intesa è un modo per entrare nella scuola e poi sta all’abilità del singolo promuovere, far emergere il bisogno?
A questo punto, allora, sarebbe interessante scoprire quanti, dopo il progetto sull’autostima abbiano avuto un effettivo ritorno professionale dalla loro presenza nella scuola (qualcuno l’hanno avuto, compresi alcuni collaboratori stretti dell’Associazione Psicologi Campani, ma mi piacerebbe sapere quanti e in che modo), per valutare una effettiva efficacia di questo protocollo d’intesa, per non farlo diventare (o forse già lo è?…) l’ennesima promozione/svendita gratuita della nostra professione.