Quando si svolge la libera professione si ha un unico posto fisso: l’automobile.
Perché solo in automobile può sopravvivere lo psicologo libero professionista: l’autovettura è il simbolo della diversificazione delle attività.
Io, ad esempio, in alcune giornate particolarmente diversificate, posso svolgere tre attività in tre città diverse; il tutto senza dono dell’ubiquità…ma sarebbe il caso, per il libero professionista, iniziare a profumare di fiori e attrezzarsi anche per quella. Continua a leggere “Quel demonio del marketing degli psicologi”→
La mia reazione di fronte alla prospettiva di dover sottrarre tempo e denari alle mie supervisioni, alle mie intervisioni, alle mie relazioni per inseguire eventi ECM
E non una vendetta qualunque, ma la vendetta di Khaaaaannn!
Perché, all’improvviso, la questione dell’aggiornamento continuo per gli psicologi liberi professionisti potrebbe complicarsi.
In questo articolo sul sito di AltraPsicologia riassumo la questione e tratteggio le prospettive.
Una volta mi hanno chiesto l’origine del titolo del mio blog: SenzaCamice.
La genesi leggendaria (tutte le cose fighe e di culto ne hanno una!) racconta di una giornata di caldo atroce di ritorno dal policlinico.
Il tirocinio al policlinico era tutto un mettere e togliere il camice, entrare e uscire dal reparto.
Un tirocinio formativo meraviglioso, come quasi tutti quelli che hanno caratterizzato il mio percorso di formazione come psicologa prima e psicoterapeuta poi.
Quel giorno, quello di caldo atroce, era anche il mio ultimo giorno di tirocinio e giù tutto un grande affollamento di domande.
Non sono una sociologa, ma non credo di andare troppo lontano dal vero se dico che in periodi di crisi, i riferimenti istituzionali perdono credibilità agli occhi dei cittadini. Per ragioni più o meno meritate, intendiamoci.
Allo screditamento delle istituzioni si affianca ora un fenomeno più moderno: quello della diluizione delle fonti.
“Un Anello per domarli tutti, un anello per trovarli, un anello per ghermirli e nell’oscurità incatenarli”.
[AVVERTENZA: Si avvisano e rassicurano i lettori che nessun Hobbit è stato maltrattato per la stesura di questo post ]
Dopo essermi atteggiata per un paio di settimane a grande sapiente che si rivolge ai futuri colleghi come se io avessi 100 anni, è ora di dire anche qualcosa su cosa può fare la mia generazione di psicologi per questa professione.
Per “mia generazione” intendo quelli dei colleghi che ora hanno 30-40 anni al massimo. Quelli che sono nati quasi in contemporanea con la nascita di questa professione che, ricordiamocelo, in Italia legislativamente nasce appena nel 1989.
Non accade solo nelle puntate di Porta a Porta, è un vizio proprio tutto italiano, quello di masturbarsi intellettualmente nell’analisi delle situazioni senza mai fare il passo successivo, ossia
…stando così le cose, che vogliamo fare?
Vogliamo non iscriverci a psicologia e fare altro?
Vogliamo fare gli psicologi e cannibalizzare i colleghi?
Vogliamo fare gli psicologi e stare chiusi nello studio ad aspettare?
Vogliamo fare gli psicologi e girovagare alla ricerca di una raccomandazione?
Vogliamo fare gli psicologi e fare 100 anni di volontariato nell’attesa che qualcuno abbia pietà di noi?
Vogliamo fare gli psicologi che in realtà fanno gli addetti alla cucina e alla pulizia dentro una cooperativa?
Delle alternative di cui sopra credo che l’unica efficacemente percorribile sia la prima. Chi, con miopia, si accomoda in una delle successive fa del male a sé e alla categoria.
Si fa irretire dal potere dell’anello.
Oppure.
Oppure vogliamo essere psicologi che pensano a come sfruttare trasversalmente le proprie competenze? Gli psicologi che non si vergognano di parlare di marketing e guadagno? Gli psicologi che un anno o due di volontariato va bene per fare esperienza, ma poi si riconoscono limiti e risorse e iniziano a vivere e pensare da professionisti quali sono? Gli psicologi che, constatato che l’attuale sistema non va granché bene, si impegnano per cambiarlo? Gli psicologi che se mettiamo insieme il mio orticello e il tuo orticello facciamo una gran bella azienda agricola, invece di vivere nella paranoia?
Qualche anno fa accadde un episodio che ricordo tra i più spiacevoli della mia vita umana e professionale. In un contesto istituzionale, un gruppo di noi faticò molto per cercare di avviare un progetto. Si facevano orari piuttosto proibitivi e si stava pure con soggetti a rischio. Eravamo un gruppo di giovani, qualcuno si stava specializzando, qualcun altro stava per abilitarsi. Quando si trattò di passare alla fase concreta, ossia quella dove si sarebbe potuto vedere anche qualche soldo, d’improvviso si materializzò il collega che non aveva fatto le albe con noi, non aveva fatto le notti a scrivere relazioni, penso non avesse nemmeno mai visto uno dei suddetti pazienti, niente, nessuno l’aveva mai visto. Ma due e due quattro, ci scippò il progetto da mano.
Ricordo me stessa, chiusa in una stanza con i ragazzi con cui avevo lavorato, che battevo i pugni sulla scrivania dicendo
che caz*o ci insegnano! Non si fa così! Non dobbiamo imparare a essere così!
E’ il potere dell’anello. Ti irretisce, rendendoti però miope. Tutto quello che vuole l’anello, infatti, è semplicemente tornare dal suo padrone. E’ tuo ma non ti appartiene.
Esiste un solo signore dell’anello, solo uno può piegarlo alla sua volontà ed egli non divide il potere!
E lo stesso credo accada a chi sceglie questo modo di vivere la professione.
La mia generazione in questo momento è nella più ingrata delle fasi. Quella in cui può avviare un cambiamento dei cui frutti godrà molto meno di quanto non meriti. Ammesso che ce ne siano…
Ma davvero non abbiamo molta scelta.
Riuniti a Gran Burrone, presso Re Elrond, uomini, elfi e nani litigano a lungo sulla loro condizione. Si scagliano reciprocamente colpe e vecchi rancori. Finché Frodo, il piccolo Hobbit, non si alza e dice
Porterò io l’Anello a Mordor. Solo… non conosco la strada.
Ecco. La nostra comunità in questo momento è riunita a Gran Burrone. E discute, a volte litiga.
Ora bisogna che ci si inizi ad alzare dagli scranni e formare una compagnia.
Quando le cose sono confuse, bisogna partire innanzitutto da un punto fermo.
Ecco il mio.
Al netto di ogni considerazione esistenziale, io ho una partita iva e sono quindi una LIBERA PROFESSIONISTA.
In quanto psicologa, questo significa che dietro di me non ho nessuno; davanti a me, invece, ho una moltitudine che sulle spalle porta una o più di queste etichette:
e sono sicura che la folla sia talmente tanta e la mia vista così poco acuta che molte etichette nemmeno riesco a leggerle.
Otto psicologi su dieci non hanno messo tre-crocette-tre su un cartoncino e quindi hanno sentito di non avere nulla da dire circa la disciplina della loro professione.
Molti i kit non pervenuti, molti quelli arrivati fuori tempo massimo.
Dal CNOP ci hanno scritto che entro fine maggio ci sarebbe arrivato il tutto. Al 10 giugno erano molte le caselle postali ancora vuote e magari potevano avvertirci che il tutto avrebbe avuto l’aspetto del solito notiziario che, quello sì, l’80% di noi usa per pareggiare le gambe del tavolo.
Poi ci si è messa pure questa regola del “voto pervenuto”, invece del timbro postale, che ha dato tanto l’impressione di voler creare quanti più ostacoli possibili…
C’è stato poi l’imbarazzante silenzio degli Ordini Regionali.
Da questo screenshot potete vedere la prima pagina di google sulla ricerca “referendum psicologi codice deontologico”.
Se la posizione del mio blog può di certo pompare il mio narcisimo, lo sconforto mi prende quando nemmeno a pagina 5 compare il mio ordine regionale di appartenenza. E quelli delle altre regioni non fanno figura migliore, comparendo comunque nelle pagine 3 e 4 prevalentemente. E chi usa google sa bene che, a meno di ricerche particolarmente approfondite, non si va oltre la prima pagina per i risultati (peggio, non si va oltre i primi 3 link suggeriti dal motore di ricerca!!).
Si organizzano tanti seminari, più o meno utili/inutili, e dibattiti vari; possibile che in un mese e mezzo gli ordini regionali non abbiano trovato il tempo di spiegare ai loro iscritti cosa stavano andando a votare?
L’ipotesi che mi sono fatta io per spiegare questo colpevole silenzio è, ahimè, molto amara, cinica e con spunti paranoidei.
A pochi mesi dalle elezioni, infatti, a molti deve essere sembrato sconveniente prendere posizione sull’art.21 soprattutto…
Con quale faccia ci si sarebbe poi potuti presentare nelle medesime scuole che formano counselor e psicoterapeuti contemporaneamente, nelle stesse aule, con gli stessi programmi, con gli stessi docenti, a chiedere voti?
E questo è il mio pensiero sulle istituzioni.
Ma quell’80% che è stato in silenzio ora, tale e quale alle elezioni ENPAP, può essere spiegato solo così?
No, non può. E’ troppo facile, troppo semplicistico, troppo lineare.
Mentre i buoni fuggono con l’elicottero, il cattivo viene lasciato a terra e una miriade di zombie, accecati dalla fame, gli si lanciano addosso per sbranarlo.
Naturalmente ci sarà quello più fortunato, che prenderà un bel boccone, quello che dovrà accontentarsi di qualche piccola briciola e quello che resterà a digiuno e frustrato dalla fame.
Il punto è che mentre tutti si lanciano su quei pochi brandelli di carne, ignorano che gli sta per scoppiare addosso una bomba atomica che li annienterà!
Non sarebbe allora stato più sensato cercare di salire sull’elicottero?
Mentre noi ci litighiamo le poche ossa, addosso ci cadono i counselor, ci cade una visione sempre più “medicalizzante” della nostra professione, ci cadono gli altri professionisti che ci scippano ambiti di lavoro nei quali saremmo utilissimi (come scrive così bene qui Valentina Bovio) …e ci cadono addosso un milione di altre cose che sicuramente la mia notevole miopia mi impedisce di riconoscere!
Siamo tanti e contiamo pochissimo.
Siamo disillusi, disimpegnati, sfiduciati, siamo frammentati ciascuno a difesa del suo orticello, come dice il mio caro amico e collega Giovanni.
Ma una speranza c’è, io la vedo e non voglio abbandonarla.
C’è nella comunità uno zoccolo duro che non molla.
Che non crede nell’individualismo e nel cannibalismo zombico, che parla, discute, ma soprattutto scuote, che tappa i buchi laddove le istituzioni se ne stanno in silenzio più o meno disinteressato.
Con qualche blog, qualche sito, qualche pagina su Facebook siamo riusciti a entrare in contatto con 17mila psicologi.
Non dobbiamo mollare.
Dobbiamo continuare a parlare, continuare a indicare l’elicottero, perché è impegnandoci a salire su quello che possiamo sperare di non doverci accontentare delle briciole o addirittura restare a bocca asciutta.
Visione idealistica?
Forse.
Ma è davvero l’unica visione possibile per me, se voglio continuare a fare questa professione.
Quando la mia visione cambierà, diventerà più pessimistica o semplicemente più realistica potrà dirmi qualcuno, allora non cercherò compromessi.
Semplicemente farò qualcos’altro.
Cosa non lo so…in fondo io faccio parte di queste generazione di giovani così choosy…
Procede vivacissima la crescita dell’Unione Psicologi Campania e del suo blog che vi invito a seguire clikkando qui.
Oggi la collega Maria Miranda ha pubblicato un articolo sullo scottante argomento dell’eterna formazione per i giovani psicologi, partendo da una osservazione banale:
Vi metto solo in sequenza i fatti, ambasciator non porta pena, fatevi voi un’opinione, magari conservatela e ricordatevene quando sarà il momento.
Perché ci sarà un momento in cui dovrete ritirarla fuori dalla tasca, ve l’assicuro.
Luca Pizzonia, un collega, (di cui potete leggere il post qui) mi segnala che tra gli EVENTI che l’Ordine degli Psicologi della Campania pubblicizza a questo link (CLIKKA)è previsto per la data 17 Giugno (peccato essermelo perso…) un seminario gratuito dal titolo
UNA PROFESSIONE PER I NOSTRI TEMPI
Sarà lo psicologo, direte voi…si parlerà di tutti gli ambiti in cui lo psicologo può operare, nuove applicazioni, nuove tecnologie…
a) A chi è rivolto il corso, in particolare sulla frase
e a quanti sono interessati al sostegno ed alla relazione di aiuto, alla formazione, alla crescita e allo sviluppo personale.
b) Chi sono i docenti. Non concentratevi sui nomi, sono sicura che sono tutte persone competenti e rispettabilissime, ma sul lavoro che fanno.
c) Datevi una lettura sulla definizione di counseling che viene data sui siti del CNCP e della SICO. Non ve le riporto io perché sul sito della Sico c’è un bell’attenzione! non si può riprodurre nessuna parte del sito sennò abbuschi! E neanche questo avviso ho potuto copiare, lo trovate in originale in fondo alla homepage!
Se la cosa ti ha annoiato, ti prego di perdonarmi.
Se invece la cosa ti ha interessato, tieni ben calda la tua opinione in tasca.
Ps: sarei curiosa di sapere quanti psicologi sono andati a questa interessante giornata e se a quegli psicologi è stato fatto qualche cenno su come votare per la modifica dell’articolo 21…
Sì, l’ho appena scoperto e ora sono in piena crisi di identità! Ho buttato quattro anni della mia vita???
Ho appena scoperto che sono una couselor perché mi hanno spiegato che la differenza tra la psicoterapia e il counseling (fatto da un counselor) è che il secondo non lavora sull’inconscio!
Ma nemmeno io lavoro sull’inconscio!
Io mi accingo a fare psicoterapia sistemico-relazionale! Io e i pazienti insieme scoviamo limiti e li trasformiamo in risorse! Sfruttiamo le potenzialità dei sistemi!
Inconscio? Ma quale inconscio! In quattro anni di scuola di specializzazione non me ne ha parlato praticamente nessuno!
Cosa significa questo? Che sono stata tratta in inganno???? Che credevo di stare specializzandomi in psicoterapia e invece stavo diventando una couselor perché non so come si lavora sull’inconscio???
Aiutatemi, vi prego! Una crisi d’identità a 40 gradi è intollerabile!!