Deve esserci qualche congiunzione astrale strana su questo 11 Novembre.
Tag: promozione
Quel demonio del marketing degli psicologi
Quando si svolge la libera professione si ha un unico posto fisso: l’automobile.
Perché solo in automobile può sopravvivere lo psicologo libero professionista: l’autovettura è il simbolo della diversificazione delle attività.
Io, ad esempio, in alcune giornate particolarmente diversificate, posso svolgere tre attività in tre città diverse; il tutto senza dono dell’ubiquità…ma sarebbe il caso, per il libero professionista, iniziare a profumare di fiori e attrezzarsi anche per quella. Continua a leggere “Quel demonio del marketing degli psicologi”
Il massimo dell’autofagia – Il minimo dello sviluppo
Cosa lo pago a fare io l’Ordine?
Personalmente, io lo pago innanzitutto per due motivi, (che sono pure quelli stabiliti per Legge dalla 56/89)
a) Per dire ai cittadini chi è abilitato a svolgere una professione delicata come la mia e chi no.
b) Per vigilare ed eventualmente sanzionare quei colleghi che si comportano in maniera scorretta.
Voglio che faccia questo, e sono disposta anche a pagare, perché l’Ordine deve tutelare innanzitutto i cittadini, soprattutto quelli che stanno passando un momento di difficoltà, e poi perché deve tutelare anche me, in quanto persona rispettosa delle leggi dello Stato.
Ora: vi sembra che il vostro Ordine non faccia nessuna di queste due cose?
Continua a leggere “Il massimo dell’autofagia – Il minimo dello sviluppo”
Gratis: ma il cliente che ne penserà?
Gratis o a poco prezzo.
Non sono solo i concorsi ormai a chiederti di lavorare al ribasso, spesso anche all’interno dei propri studi i colleghi propongono 3-6-1000 colloqui gratuiti o a prezzi stracciatissimi.
E’ il libero mercato bellezza.
Verissimo.
Non esistono più i minimi tariffari.
BoicottaBarilla: Marketing – Etica- Visibilità!
Se avessi scritto questo articolo la settimana scorsa avrebbe avuto probabilmente il doppio della visibilità su Google. Perché lo spunto mi è venuto in mente seguendo la vicenda di Guido Barilla, l’hashtag #BoicottaBarilla e le famiglie omosessuali.
Una settimana fa circa era l’argomento caldo e scriverci qualcosa su mi avrebbe dato sicuramente molti più contatti di oggi.
Ma l’idea una settimana fa era nella mia testa ancora molto grezza, era poco più di uno spunto, era un pensiero che trovava spazio qua e là tra i vari impegni di lavoro. Una settimana fa avrei scritto un articolo visibile ma molto al di sotto dei miei standard di qualità (yeah).
Saltando qualsiasi considerazione sul contenuto dell’affermazione di Guido Barilla, la vicenda mi ha appassionato per i suoi risvolti sul marketing e immagine aziendale (immagine professionale nel mio caso).
A un’azienda che produce pasta, che può contare nella sua tradizione tra le pubblicità più belle e strappalacrime della storia della televisione italiana (questa col gattino se la palleggia col fusillo nella tasca del babbo lontano)
viene rimproverato un atteggiamento eticamente discutibile.
I social, poi, al riguardo sono senza pietà. Stanano, taggano, etichettano, sfottono, marchiano a fuoco.
E stiamo parlando di fusilli e rigatoni..
Trasportiamo tutto questo a uno psicologo libero professionista, che non vende bucatini e sughi pronti, ma “benessere” e “salute”; non sono solo beni astratti, ma sono soprattutto beni delicati, beni spesso perduti e/o compromessi da persone in difficoltà.
Come fare a trovare la quadra tra: correttezza del messaggio, qualità del messaggio, visibilità del messaggio?
Avrei dovuto scrivere questo articolo quando l’argomento era al top ma l’idea ancora grezza?
Mettermi qui alla scrivania oggi a scrivere a una settimana dal misfatto è solo una perdita di tempo?
Un principio che mi è molto caro in terapia è quello della coerenza strategica, ossia di l’utilizzo strategico della propria autenticità all’interno della relazione. E’ coerente, perché è aderente al mio modo d’essere, è strategico perché quel mio modo d’essere è utilizzato consapevolmente in direzione di uno scopo o verifica di un’ipotesi.
Credo di affrontare la faccenda della promozione professionale allo stesso modo.
Nella promozione, soprattutto della nostra professione, il professionista stesso è parte integrante del “prodotto che vende” e non può escludersi dall’operazione di marketing.
Così penso che se avessi scritto l’articolo una settimana fa, sarebbe stato di gran lunga peggiore di questo non solo nel parametro della mera “qualità” ma anche in quello della “credibilità”. Certo, avrei ottenuto 100 contatti che però non si sarebbero più fatti rivedere da queste parti. Oggi avrò i miei soliti 20 accanitissimi lettori (sì, sto parlando proprio di te!) che magari gireranno l’articolo a un altro paio di amici che potrebbero essere interessati all’argomento (sì, sto parlando sempre di te!).
Magari un giorno avrò torto e rimpiangerò gli 80 lettori occasionali e disattenti, ma oggi proprio no!
In principio era gratis – Su IoPsicologo Magazine n.4
In principio era il libero professionista e il suo studio.
Per evitare di restare fermi al principio, è bene attrezzarsi per escogitare qualche strategia utile a intercettare quanti più pazienti.
In questo arrovellarsi di pensieri strategici, è molto probabile che fra le prime idee a saltare in mente ci sia quella di offrire il primo colloquio gratuito.
La domanda allora sorge spontanea: questo colloquio gratuito serve a far venire più persone nel nostro studio?
La mia riflessione non vuole vertere sugli aspetti motivazionali del paziente: ancora una volta utilizzerò il crudelissimo punto di vista del marketing.
Anch’io all’inizio della mia attività ho proposto il primo colloquio gratuitamente.
Ma da subito è cominciato ad accadere un fatto curioso.
IL RESTO LO POTETE LEGGERE SUL NUMERO 4 DELLA RIVISTA IOPSICOLOGO MAGAZINE – A PAGINA 25
Chiudiamo l’Ordine?
Partirò da un punto che sembra lontanissimo e che pare non avere nulla a che fare con la psicologia. Ma spero di riuscire a scrivere in maniera sufficientemente chiara da far capire cosa intendo.
Due sono i fatti che in questi giorni ho in testa.
Uno è il risultato del referendum sul nostro codice deontologico. Ad interessarmi sono in particolare i dati sulla scarsissima affluenza (meno del 15%).
L’altro è che un signore che ha detto
posso curare tutte le malattie del mondo!!
riceverà dal Ministero della Salute ben 3 milioni di euro per sperimentare questa sua affermazione.
La faccenda di Davide Vannoni, del Metodo Stamina, delle Iene, della piccola Sofia scoppia in maniera eclatante questo inverno con i servizi di Giulio Golia sui presunti miglioramenti che dei bambini avrebbero a seguito delle infusioni di cellule staminali preparate con questo Metodo Stamina.
Scatta l’onda popolare, le manifestazioni, le proteste, la solidarietà a Vannoni, ostacolato dal complotto delle case farmaceutiche, la crudeltà della scienza che non concede a questi piccoli bambini nemmeno l’ultima speranza. Si susseguono i servizi di Giulio Golia. La pagina Facebook di Vannoni si popola di seguaci e messaggi di incoraggiamento.
Sembrano quelle feste in cui mentre tu sei concentrato a fissare gli splendidi fuochi d’artificio, ti sfilano il portafoglio. Perché mentre tutti guardano i servizi di Giulio Golia, si ignora che di questo Metodo non si sa niente, non si conoscono le procedure, non si ha un protocollo, si ignora un’indagine di Guariniello su una presunta pericolosità delle procedure, si ignora l’origine della storia (potete trovarla ricostruita qui). Si ignora anche che non c’è una pubblicazione, uno studio, nulla che parli di questo metodo, si ignorano pure una serie di brutte figure, come la foto copiata da uno studio ucraino e utilizzato per presentare una richiesta di brevetto (poi ritirata, qui ritrovate una ricostruzione dei fatti).
Direte voi:
ma cosa c’entra tutto questo con la psicologia?
C’entra più del fatto che, ahimè, Vannoni viene talvolta fatto passare per psicologo e talvolta in maniera dispregiativa come “psicologo che vuole fare il medico”… Vannoni, per la precisione, è un laureato in lettere, insegna psicologia della comunicazione e si è occupato, che curiosità, di comunicazione persuasiva…
Ma c’entra per un altro aspetto.
Chi è psicologo sa bene quanto è complicato farsi finanziare una buona idea. Anche quando questa è stata ampiamente testata da altre parti, con successo ed efficacia.
Sì, lo confesso, il Vannoni attualmente è la mia ossessione!
Com’è stato possibile per lui ottenere così una sperimentazione che costerà TRE MILIONI di Euro e, per dirne una, i Centri Antiviolenza di cui vi parlavo qui [CLIKKA] rischiano di chiudere perché non arrivano più fondi?
Eppure ci secchiamo le lingue a urlare di quanto ci sia bisogno di soluzioni e sostegno alle persone, soprattutto donne, che subiscono violenze, spesso nel contesto domestico.
Il fatto che ci sia un bisogno riguardante questo aspetto, è acclarato. Il fatto che un centro antiviolenza possa rispondere a questo bisogno lo è altrettanto.
Allo stesso modo: il fatto che ci sia bisogno di fare qualcosa per chi ha delle malattie che finora la scienza non riesce ancora a curare è pure un altro fatto, altrettanto grave. Che Davide Vannoni e il Metodo Stamina siano la risposta a questo bisogno non so quanto possa essere una risposta a questo fatto.
E sinceramente non trovo accettabile la risposta – Se non si fa la sperimentazione non lo sapremo mai – perché allora anche un personaggio che asserisce di curare il tumore col bicarbonato (parlo di questo qui) ha tutto il diritto di pretendere di sperimentare la sua metodica.
Però qui il punto non è Vannoni in sé, la mia opinione al riguardo penso sia sufficientemente chiara.
Il punto che dovrebbe interessare molto noi psicologi come categoria è: come mai spesso non riusciamo a farci finanziare nemmeno il più brillante, testato, efficace dei progetti?
E arrivo alla percentuale del 15% di partecipazione al referendum. La cosa è sconfortante, dalle parole del Presidente Palma mi pare di intuire che non è in previsione una riflessione su cosa faccia e pensi il restante 75%.
Così pensavo a un passaggio estremo: che sia l’ora di chiuderlo quest’ordine?
La netta maggioranza degli psicologi lo ignora quando ci chiama a raccolta. Molti di noi, e me per prima, sentono che l’Ordine vive su Marte e non ha idea di cosa accada nella vita quotidiana di noi poveri psicologi terrestri (magari pure giovani e magari pure liberi professionisti).
Inoltre mi costa personalmente 155 euro all’anno che, in tutta sincerità, non sento tornarmi indietro neanche con il più creativo degli sforzi; la mia iscrizione la sento come una tassa e basta, non come un’iscrizione a qualcosa capace di offrirmi un servizio. Ma se rispetto ai servizi, Regione che vai – Ordine che trovi, è a livello nazionale che la distanza si fa ancora siderale. Da Marte si passa tranquillamente a Plutone (che non è neanche più un pianeta?).
Poi l’amico Christian, mentre parliamo di tutt’altro, mi illumina con una frase e comprendo. Mi dice
Non possiamo chiudere una cosa che non è mai stata aperta
Allora ecco quello che penso. Così come funziona l’Ordine è un’istituzione per lo più fallimentare. Vanno chiusi? Va liberalizzato tutto? E’ un’idea, lo è di alcuni colleghi.
Non è la mia però.
Non solo perché diffido della totale liberalizzazione in generale…soprattutto in Italia…
Ma perché penso che la nostra più grande colpa, come categoria professionale, è di non aver mai avuto la capacità politica di affermare quello che è sotto la luce del sole. Lasciamo che i familiari dei malati di cancro si debbano arrangiare da soli, che persone di tutte le età sperperino quei quattro soldi che hanno in tasca alle slot, chiudono i centri antiviolenza, nei Ser.T. (giusto per citare quanto accaduto durante la Giornata Mondiale contro le Droghe del 26 Giugno) s’è perso l’85% degli psicologi, nelle scuole la prevenzione e il sostegno sta in mano a volenterosi (a volte pure troppo volenterosi…) colleghi.
Allora sì, gli Ordini sono già chiusi e vanno chiusi definitivamente, se semplicemente devono essere terreno di guerra e spartizione, tra scaramucce personali, di quartiere, di confine, di scuole di specializzazione.
E così con loro portano a morire appresso tutti noi.
Oppure si devono aprire.
O meglio ancora: DOBBIAMO farli aprire, a costo di fare come quei petulanti venditori che continuano a bussare alla porta finché qualcuno non si arrende a farti entrare.
Leggo e rileggo quest’ultima frase che suona un po’ da sessantottina…ma ho 30 anni e nulla più da perdere, se la cosa che amo fare nella mia vita…
C’è chi dice no (alla modifica dell’art.21 del C.d.)
Dopo l’intervista doppia che vi avevo postato qui (CLIKKA per rivedere) vi avevo lasciato indietro con le mie osservazioni circa quanto esposto dai colleghi sulla modifica dell’art. 21 del nostro C.d.
La premessa:
io credo innanzitutto che la tutela della nostra professione sarà tanto più solida quanto più sarà attiva e non “difensiva”.
A partire da questo numero ho iniziato a collaborare con la rivista Io Psicologo (qui, a pagina 29 potete leggere il mio articolo) e in particolare ho deciso di occuparmi di marketing e libera professione. Nei prossimi mesi usciranno diversi miei articoli sulla rivista e tutti sono caratterizzati da un filo conduttore: il richiamo, forte, ai miei colleghi (e a me stessa ovviamente) a impegnarsi in una promozione sempre più efficace. E non solo per mera “sopravvivenza commerciale”, ma per autentico dovere morale: le persone in difficoltà DEVONO sapere che c’è chi può aiutarle.
Tanto più noi psicologi ci impegneremo a utilizzare tutti i nostri strumenti e tutte le nostre conoscenze per proporre iniziative che rispondono ai bisogni e ai mezzi, soprattutto economici in questo momento, delle persone, tanto più la nostra professione sarà promossa e tutelata.
Mi piacerebbe fosse questa la strada principale che guida un Ordine professionale, mi piacerebbe fosse questo lo spirito guida della nostra comunità.
E’ anche per questa ragione che provo una sostanziale indifferenza per le altre professioni, le cosiddette “professioni della relazione d’aiuto”, sdoganate dalla recente legge 4/2013 “Disposizioni in materia di professioni non organizzate” . Non trovo utile stare lì a lagnarsi o a fare loro le pulci; pensiamo invece a fare il nostro lavoro, professionale, sul campo, quello quotidiano di tutti i giorni, e “politico”, scuotiamoci dal sonno in cui colpevolmente ci siamo adagiati per anni.
Non mi importa dei counselor&co. perché fino ad ora ho sentito solo di sentenze che condannano coouselor, psicopedagogisti e simili per l’esercizio abusivo della professione di psicologo, non mi è mai capitato di leggere il contrario…
Una sempre più precisa definizione degli atti tipici dello psicologo, più chiaramente comprensibili al pubblico e soprattutto al legislatore, avrà solide fondamenta per impiantare le sue radici nella promozione attiva. A quel punto saranno tutti gli altri a dover capire quali sono i loro di atti tipici e non noi ad andare a fare le pulci agli altri. Ribadisco la mia posizione: se esistono ALTRI profili professionali che possono aiutare le persone a stare meglio, BEN VENGANO, io sarò felicissima di collaborare con loro.
Questo lunga premessa per dire che, innanzitutto, non sono una guerrafondaia e che davvero mi incuriosisce molto la posizione del “no” a questo referendum, soprattutto da parte dei colleghi.
Avevo già letto (con molta pazienza…era lunghissimo) un primo articolo della collega Anna Barracco (qui) dove spiegava le ragioni del no e ora ho ascoltato la sua intervista.
Le mie perplessità su questa posizione referendaria, ahimè, sono restate intatte.
Sono rimasta colpita innanzitutto dalla prima motivazione che dovrebbe spingermi a votare no: se passa la modifica dell’art.21 poi mi spavento di fare formazione. Il tiro è stato aggiustato in corsa: se all’inizio si parlava esplicitamente e in maniera terrorizzante di “chiusura di sbocchi occupazionali” perché non avremmo potuto fare formazione a nessun altro se non ai nostri colleghi [qui un esempio di terrore], ora si parla di paura che improvvisa dovrebbe colpirci.
Sarò una temeraria evidentemente…perché non riesco a trovare questo aspetto sorprendente. Non riesco nemmeno ad attivarmi una paranoia del tipo
cos’è che non colgo?
Sarà che ragiono sempre in maniera concreta…
Domanda: ai badanti cui faccio lezione insegno io a fare gli psicologi?
Risposta: No.
Domanda: se a degli insegnanti insegno cosa sono i DSA, insegno io a fare gli psicologi?
Risposta: no.
E potrei andare avanti all’infinito sena avere paura proprio di nulla…
Altra motivazione che dovrebbe portarmi a votare no: l’art.21, anche se modificato, non farà sparire counselor&co. E’ vero, lo so e sinceramente non me ne frega niente. Io non voglio far sparire proprio nessuno. Voglio invece che chi tra i miei colleghi, per facile lucro per lo più, avalla situazioni che favoriscono l’abuso di professione, venga punito. E non per puro sadismo, ma perché l’abuso fa male alla categoria ma soprattutto mette a rischio i cittadini. E sì, trovo pure che questa sia una violazione deontologica grave.
C’è poi il discorso “negli altri Paesi non è così”. Beh…non voglio apparire acida, ma negli altri Paesi un mucchio di cose non sono esattamente come in Italia, nel bene e nel male.
Parlare di sistemi di accreditamento, sognare la cancellazione dell’art.21 perché incostituzionale, è parlare di un mondo che non c’è. Tanto varrebbe cancellare la legge che istituisce la nostra professione. Potrei pure essere favorevole a un’idea simile, intendiamoci, ma al momento la realtà è un’altra, e se proprio dobbiamo abolire il nostro ordine, allora aboliamoli tutti, mica vogliamo essere gli unici fessi? All’interno delle attuali normative italiane, proporre l’argomentazione “dagli altri non è così” non mi pare sensato, è come scotomizzare totalmente il contesto all’interno del quale ci troviamo.
Insomma, per quanto mi sforzi di trovare ragioni convincenti per votare no alla modifica dell’art.21 non ci riesco.
A meno di improvvise epifanie, credo proprio che voterò sì, senza spavento e senza paura.
Anche, però, senza attese messianiche o paternalistiche (da sistemica, mi ha fatto sorridere l’affermazione della collega 🙂 ).
Non è certo all’interno di questa modifica che si risolvono le questioni derivanti da 20 anni di coma della nostra politica professionale, da 20 anni di prevalenza e tutela di un indirizzo sanitario a discapito di quella della prevenzione e della tutela del benessere e da 20 di disinteresse per i liberi professionisti.
La mia speranza è che il coinvolgimento in questo referendum sia alto, pure se le pratiche del voto si prospettano farraginose (i kit dovevano arrivare a fine maggio, qualcuno ne ha notizia?).
Al contrario della collega Barracco, io non vedo tensione all’interno della nostra comunità (ma forse la mia percezione è legata alla mia realtà regionale).
Magari!
Ci sarebbe energia, Whitaker e pure io ne saremmo felici! Ci sarebbe terreno fertile per le idee!
Invece io sento svilimento, disinteresse un “tanto che ne parliamo a fare”, un sostanziale scollamento fra ciò che fa l’Ordine, realtà professionale e realtà civile che francamente mi preoccupa…
[Aggiornamento 4 Giugno 2013: qualcuno inizia a riferirmi che i kit stanno arrivando. BUON VOTO A TUTTI ALLORA! 🙂 ]
Aiutare i bambini a superare il lutto – Con l’Associazione LeGaMi
Non essere amati è una sofferenza grande, però non la più grande.
La più grande è non essere amati più.
John Bowlby, uno dei più grandi studiosi della psicologia dello sviluppo, ha scritto:
Non è possibile elaborare un lutto senza la presenza di un’altra persona.
Questo vale per gli adulti, ma ancor di più vale per i bambini, i quali non solo hanno bisogno di aiuto per elaborare il dolore causato dalla perdita di un caro, soprattutto di un genitore, ma necessitano di un sostegno che li aiuti a comprendere come vivere il proprio lutto.
L’ostacolo più grande per l’adulto che voglia aiutare un bambino sono le parole: quali usare per trasmettere al bambino messaggi conforto? Il linguaggio che gli adulti utilizzano quotidianamente non è naturale per il piccolo, è troppo complesso, non gli consente di parlare di sé e soprattutto di come si sente. I bambini hanno difficoltà a rispondere a domande dirette del tipo
Come stai? Cosa stai provando?
Per i più piccoli l’espressione è possibile in maniera più efficace attraverso l’utilizzo dei disegni, del gioco, delle storie e delle favole.
E’ perciò importante che l’adulto cerchi una modalità comunicativa che sia capace di connettersi efficacemente al mondo interiore del bambino, che utilizzi parole e concetti adatti alla sua età e alla sua concezione della morte. I bambini non vanno protetti dalla verità, ma questa deve essere resa loro comprensibile. Anche per questa ragione è importante che i bambini partecipino al funerale: questo è un momento di condivisione e normalizzazione del dolore, oltre che un essenziale momento di commiato.
Se un bambino ha perso un genitore, il genitore sopravvissuto dovrà affrontare il dolore del bambino mentre è contemporaneamente impegnato ad affrontare il proprio.
Una situazione gravosa, che il genitore sopravvissuto non dovrebbe affrontare da solo, cercando di attivare quante più risorse possibili, intra ed extra familiari.
Il Laboratorio IL CERCHIO DELLA VITA, proposto dall‘Associazione LeGaMi, può rappresentare una di queste risorse. Condotto da un’equipe di psicologhe e psicoterapeute, rivolto a bambini tra i 4 e gli 11 anni, attraverso l’utilizzo di favole, giochi, attività di apprendimento informale, questa esperienza è contemporaneamente protettiva e preventiva per i piccoli, accompagnandoli nel cammino che parte dai luoghi di perdita e giunge a luoghi di speranza.
Perciò, se sei interessato al laboratorio o conosci qualcuno che potrebbe aver bisogno di questa opportunità, puoi consultare i dettagli del laboratorio qui CLIKKA
Libera coscienza in Libero professionista. Il marketing è un peccato mortale? – Su IoPsicologo Magazine n.3
Come promesso, oggi potrete leggere su IoPsicologo Magazine (scaricate l’intera rivista qui) il mio articolo dal titolo
Libera coscienza in Libero Professionista. Il marketing è un peccato mortale?
Lo troverete a pagina 29. Ma mentre ci arrivate, perché non soffermarvi sui tanti contenuti inseriti dai colleghi?
E quando avete finito, perché non proseguire la lettura?
Vi ingolosisco con l’incipit dell’articolo, sperando che sia di vostro gradimento, come tutta la rivista 🙂
Sei libero.
Libero di scegliere quando lavorare e quando no, libero di scegliere cosa fare e cosa no.
E poi sei schiavo.
Schiavo dell’idea che l’unica persona da cui dipende un attivo alla fine del mese sei tu.
Non è possibile scappare dal marketing e dalla pubblicità, anche se non ti è mai parso che Freud si fosse occupato di questo e nemmeno all’università qualcuno si è mai sognato di fartene cenno.
Marketing e pubblicità.
Peccati mortali?
Il resto…a pagina 29 della rivista! clikka
La rivista è disponibile anche su tablet e smartphone, sempre gratuitamente 🙂