La campagna elettorale degli psicologi attraversa ormai tutta la penisola dalle Alpi alle isole (ad eccezione dei colleghi emiliani, che voteranno in primavera).
Cara/o collega, vorrei allora suggerirti delle domande che sarebbe utile tu ti ponessi prima di recarti alle urne a votare.
In queste settimane, in cui solo apparentemente sto trascurando il blog e tutti i suoi NUMEROSISSIMI fans, sto cercando di raccogliere materiale per alcuni articoli di “educazione civica” per gli psicologi.
Convinta di dover a tutti i costi contribuire alla costruzione di una cultura di condivisione tra psicologi come se non avessi altro da fare nella vita e come se a qualcuno importasse davvero, mi sono messa in testa di voler ricostruire la storia della politica professionale della psicologia.
Un’impresa che si sta mostrando straordinariamente complicata, a dispetto di una professione assolutamente giovane; in fondo sono nata prima io e poi la professione di psicologo in Italia!
Ma la maggior parte degli psicologi non conosce i principali “partiti” della psicologia italiana, conosce in maniera vaga gli effettivi compiti dell’Ordine, ignora per lo più di avere persino un sindacato!
Credo che le prossime elezioni ordinistiche e il quadriennio che ne seguirà saranno decisivi per capire che strada vogliamo far prendere a questa professione in Italia.
E un eventuale cambiamento pesa sulle spalle della mia generazione, semmai vorrà farsi carico dell’ingrato compito di fare scelte che, inevitabilmente, finiranno per scontentare qualcuno. Noi stessi per primi.
Ma il quadro attuale ci lascia poco tempo per tergiversare.
Con gli attuali trend, si prevede che nel 2016 (che è domani in pratica) ci saranno in Italia 100mila psicologi (un terzo di quelli di TUTTA Europa).
Gli psicologi sono sempre in fondo alle classifiche in quanto a reddito.
Le università continuano a sfornare laureati in psicologia spesso inconsapevoli di cosa faccia realmente uno psicologo e pure di cosa li aspetta, destinati per lo più a restare impantanati in eterne formazioni (spesso cannibaliche) e ad andare a imbottigliarsi nell’unico ramo della psicologia che l’università gli ha messo davanti: la clinica e la psicoterapia.
Colleghi prontissimi e capaci, ma assolutamente impreparati dal punto di vista del marketing e del business, predisposizione e competenze senza le quali la vedo dura affermarsi come liberi professionisti, che è la strada che aspetta ciascuno di noi, a meno di non voler credere che i vari psicologi di base diventino realtà consuete e consolidate in tempi brevi…[ad esempio: lo psicologo del territorio come camminerà?]
E in risposta a questi punti caldi andranno prese decisioni amare.
Limitare l’accesso all’università?
Riformare i corsi di laurea in modo da inserire competenze di marketing e business già negli studi universitari?
Allargare lo sguardo della psicologia già dall’università, allontanandolo dalla clinica?
Riformare l’esame di stato, rendendolo realmente selettivo, fino a stabilire un numero di abilitati che è possibile sfornare ogni anno in misura delle richieste del mercato?
Possibili scontenti? Tutti.
Gli aspiranti psicologi e il loro diritto a studiare e quindi ad aspirare.
Le scuole di specializzazione, che se non hanno studenti come fanno a sopravvivere?
Gli psicologi che campano formando altri psicologi.
Lo Stato, che finirebbe per non poter contare più su una massa di mano d’opera disposta a offrire competenze in forma gratuita nella maggior parte dei servizi del SSN.
Quando le cose sono confuse, bisogna partire innanzitutto da un punto fermo.
Ecco il mio.
Al netto di ogni considerazione esistenziale, io ho una partita iva e sono quindi una LIBERA PROFESSIONISTA.
In quanto psicologa, questo significa che dietro di me non ho nessuno; davanti a me, invece, ho una moltitudine che sulle spalle porta una o più di queste etichette:
e sono sicura che la folla sia talmente tanta e la mia vista così poco acuta che molte etichette nemmeno riesco a leggerle.
Otto psicologi su dieci non hanno messo tre-crocette-tre su un cartoncino e quindi hanno sentito di non avere nulla da dire circa la disciplina della loro professione.
Molti i kit non pervenuti, molti quelli arrivati fuori tempo massimo.
Dal CNOP ci hanno scritto che entro fine maggio ci sarebbe arrivato il tutto. Al 10 giugno erano molte le caselle postali ancora vuote e magari potevano avvertirci che il tutto avrebbe avuto l’aspetto del solito notiziario che, quello sì, l’80% di noi usa per pareggiare le gambe del tavolo.
Poi ci si è messa pure questa regola del “voto pervenuto”, invece del timbro postale, che ha dato tanto l’impressione di voler creare quanti più ostacoli possibili…
C’è stato poi l’imbarazzante silenzio degli Ordini Regionali.
Da questo screenshot potete vedere la prima pagina di google sulla ricerca “referendum psicologi codice deontologico”.
Se la posizione del mio blog può di certo pompare il mio narcisimo, lo sconforto mi prende quando nemmeno a pagina 5 compare il mio ordine regionale di appartenenza. E quelli delle altre regioni non fanno figura migliore, comparendo comunque nelle pagine 3 e 4 prevalentemente. E chi usa google sa bene che, a meno di ricerche particolarmente approfondite, non si va oltre la prima pagina per i risultati (peggio, non si va oltre i primi 3 link suggeriti dal motore di ricerca!!).
Si organizzano tanti seminari, più o meno utili/inutili, e dibattiti vari; possibile che in un mese e mezzo gli ordini regionali non abbiano trovato il tempo di spiegare ai loro iscritti cosa stavano andando a votare?
L’ipotesi che mi sono fatta io per spiegare questo colpevole silenzio è, ahimè, molto amara, cinica e con spunti paranoidei.
A pochi mesi dalle elezioni, infatti, a molti deve essere sembrato sconveniente prendere posizione sull’art.21 soprattutto…
Con quale faccia ci si sarebbe poi potuti presentare nelle medesime scuole che formano counselor e psicoterapeuti contemporaneamente, nelle stesse aule, con gli stessi programmi, con gli stessi docenti, a chiedere voti?
E questo è il mio pensiero sulle istituzioni.
Ma quell’80% che è stato in silenzio ora, tale e quale alle elezioni ENPAP, può essere spiegato solo così?
No, non può. E’ troppo facile, troppo semplicistico, troppo lineare.
Mentre i buoni fuggono con l’elicottero, il cattivo viene lasciato a terra e una miriade di zombie, accecati dalla fame, gli si lanciano addosso per sbranarlo.
Naturalmente ci sarà quello più fortunato, che prenderà un bel boccone, quello che dovrà accontentarsi di qualche piccola briciola e quello che resterà a digiuno e frustrato dalla fame.
Il punto è che mentre tutti si lanciano su quei pochi brandelli di carne, ignorano che gli sta per scoppiare addosso una bomba atomica che li annienterà!
Non sarebbe allora stato più sensato cercare di salire sull’elicottero?
Mentre noi ci litighiamo le poche ossa, addosso ci cadono i counselor, ci cade una visione sempre più “medicalizzante” della nostra professione, ci cadono gli altri professionisti che ci scippano ambiti di lavoro nei quali saremmo utilissimi (come scrive così bene qui Valentina Bovio) …e ci cadono addosso un milione di altre cose che sicuramente la mia notevole miopia mi impedisce di riconoscere!
Siamo tanti e contiamo pochissimo.
Siamo disillusi, disimpegnati, sfiduciati, siamo frammentati ciascuno a difesa del suo orticello, come dice il mio caro amico e collega Giovanni.
Ma una speranza c’è, io la vedo e non voglio abbandonarla.
C’è nella comunità uno zoccolo duro che non molla.
Che non crede nell’individualismo e nel cannibalismo zombico, che parla, discute, ma soprattutto scuote, che tappa i buchi laddove le istituzioni se ne stanno in silenzio più o meno disinteressato.
Con qualche blog, qualche sito, qualche pagina su Facebook siamo riusciti a entrare in contatto con 17mila psicologi.
Non dobbiamo mollare.
Dobbiamo continuare a parlare, continuare a indicare l’elicottero, perché è impegnandoci a salire su quello che possiamo sperare di non doverci accontentare delle briciole o addirittura restare a bocca asciutta.
Visione idealistica?
Forse.
Ma è davvero l’unica visione possibile per me, se voglio continuare a fare questa professione.
Quando la mia visione cambierà, diventerà più pessimistica o semplicemente più realistica potrà dirmi qualcuno, allora non cercherò compromessi.
Semplicemente farò qualcos’altro.
Cosa non lo so…in fondo io faccio parte di queste generazione di giovani così choosy…