Ho sempre avuto fiuto per i tirocini e volontariati (non ne ho fatto tanto, forse nemmeno un anno).
Non mi è mai capitato di passare due-tre-sei mesi a fare fotocopie mentre i pazienti chissà dov’erano.
Pazienti ne ho visti eccome, sin dal primo momento.
Temendo la morte, poi affezionandomi ai loro deliri, ascoltando affascinata storie di demoni e madonne, assistendo a conflitti di coppia degni di una soap, osservando incredula l’ostinazione autodistruttiva di alcolisti pluridecennali.
Insomma, il classico “ho visto cose che voi umani”…
E ogni volta, che fosse ASL, Ospedale, Centro di Salute Mentale, i pazienti ci cadevano addosso.
In 7 anni di formazione&lavoro nel SSN, non sono mai stata con le mani in mano, nemmeno quel 14 agosto pomeriggio in cui alle ore 17 un baldo giovane portò in braccio la giovane e ansiosa moglie svenuta come una moderna Madame Bovary.
Lavaggi per lei, contenimento per tutti, fino al calar della sera.
Addosso, tanto addosso che spesso le stanze non erano sufficienti; tanto addosso che viene da chiedersi se non ci fossero i tirocinanti e volontari pieni di così tanta gratuita voglia di imparare, come andrebbero avanti certi reparti.
Sogno che per una settimana ci fermiamo tutti, tirocinanti e volontari.
Sogno una grande serrata, una grande incrociata di braccia, con al fianco, magari, i nostri colleghi “anziani” tutor.
A quanto pare un sogno davvero utopistico, che mi tocca sostituire con considerazioni molto ciniche.
Ad esempio una mia vecchia tutor mi ha riferito con orrore e sgomento che la sua ASL, non so per quali oscure ragioni, non accetta più volontari.
Hai capito tu? E io ora come faccio?
E già.
Come farà?
Con tutti i primi colloqui, tutti gli MMPI da sgrigliare e relazionare, con i certificati da fare.
Io me lo ricordo benissimo quanto fosse oscenamente oberata di lavoro la mia tutor di tirocinio. Progetti, rendicontazioni, risposte progettuali, riunioni nei comuni, riunioni in direzione generale, telefonate a ogni ora, visite attese e altre meno attese.
E poi.
I pazienti, i certificati, il confronto con la psichiatra, l’infermiere, le domiciliari.
Qualche giorno fa su repubblica è stato pubblicato un dossier dal titolo inquietante:
VOLONTARIATO: IL WELFARE DELLA CRISI
dove si possono leggere le seguenti parole di Edoardo Patriarca, presidente del Centro Nazionale per il Volontariato
“Interi pezzi di welfare sono ormai gestiti direttamente dal non profit e questo è un bene, ma può anche essere un male. Può essere un bene perché stimola il terzo settore a rinnovarsi per fronteggiare le emergenze generate dalla crisi. Anche se dovrebbe farlo con una visione d’insieme che vada oltre i bisogni contingenti e al momento mi sembra che questa capacità non ci sia. Può essere un male perché finisce che al volontariato si affidano troppi compiti che dovrebbero essere dello Stato, e in questo modo ci si dimentica dell’importanza che deve avere il welfare. Per intenderci: se un anziano mi chiede un pezzo di pane glielo do. Ma è compito dello Stato fare in modo che quell’anziano non abbia bisogno del mio pezzo di pane”.
Naturalmente è inutile dire che la sottoscritta psicologa sovversiva ci ha messo un anno per trovare una sede di tirocinio per le sue ultime ore di specializzazione. Tra tirocini a pagamento (AltraPsicologia ne ha parlato qui), delibere impossibili, centri di riabilitazione che non prendono più di un tirocinante alla volta, la situazione ha come unico risultato concreto quello di mettere in difficoltà, come sempre, i soggetti più deboli.