In questo articolo intervisterò due psicologhe che stanno vivendo un’esperienza incredibile, impensabile, inimmaginabile:
sono pagate per fare uno sportello d’ascolto in una scuola!
Un evento talmente straordinario, almeno qui in Campania, che mi sento davvero in dovere di dare massima diffusione alla loro esperienza, sebbene le due protagoniste di questa storia preferiscano restare nell’anonimato…
– Inizio subito con la domanda più scottante: come ci siete riuscite?!
Di certo un risultato così inaspettato è stato possibile solo grazie all’incastro di una serie di fattori. Il preside dell’istituto, nonostante le tante difficoltà in cui la scuola si trova in questi anni, riesce ancora a conservare amore per il suo lavoro e i suoi ragazzi e riesce a difendere questa passione dai macigni schiaccianti della burocrazia.
Io e la collega quando ci siamo incontrate e abbiamo iniziato a collaborare ci siamo date una sola regola: non lavoreremo mai gratis o comunque mai senza che per noi sia chiaramente identificabile un ritorno d’investimento.
Così quando siamo andate all’appuntamento con il preside dell’istituto avevamo con noi un pacchetto di proposte progettuali modulate su impegno e prezzi accessibili per noi e per la scuola. Inizialmente c’eravamo dirette su quella che sembrava essere l’esigenza scolastica dell’anno, ossia i BES.
– A quel punto, però, la sorpresa…
Già! Non avevamo pensato ad uno sportello d’ascolto perché avevamo puntato sulla formazione sui BES, pensando che questa fosse la domanda emergente all’interno delle scuole quest’anno. Il preside ci dice che ha bisogno di uno sportello d’ascolto perché sul suo territorio i ragazzi vivono in contesti familiari spesso molto difficili.
– Ed è così che inizia una trattativa degna delle recenti cronache di calciomercato!
Il Preside ci chiede se fosse possibile finanziare il progetto tramite qualche ente, come asl o comune. La risposta sospettiamo che la conoscesse lui per primo, e così come crediamo in fondo che la domanda avesse lo scopo di farci capire che non era molto disposto a pagare per uno sportello. A quel punto gli rispondiamo che il nostro progetto era presentato dalla nostra associazione e che finanziamenti dall’asl e dal comune difficilmente ne sarebbero arrivati e soprattutto non in tempi brevi. Gli diciamo subito, ed esplicitamente, che non lo faremo gratuitamente, non perché non ci rendiamo conto delle condizioni di difficoltà economiche in cui versa la scuola, ma perché siamo convinte che un lavoro di valore, per essere tale, deve avere anche un riconoscimento economico. E’ a quel punto che scatta la trattativa. Quante ore? Quanti giorni? A quanti euro? Ci stringiamo la mano con la promessa di portargli due proposte, in cui l’unico vero cambiamento era il monte ore che avremmo coperto (più ore = più compenso, insomma).
– Dalle vostre parole mi sembra di capire che non vi arricchirete con questo progetto…
Certo che no, ma credo che nessuno psicologo si aspetti di arricchirsi con uno sportello d’ascolto in una scuola! Noi cerchiamo di vivere la nostra professione consapevoli della nostra identità di libere professioniste e con l’esame di realtà di due persone che pagano tasse, commercialista, versano i contributi, spendono benzina per andare in giro tra vari lavori e riunioni, e contemporaneamente consapevoli del valore sociale della nostra professione, soprattutto in territori dove i più deboli sono in difficoltà. Ed è con queste consapevolezze che abbiamo scelto che una mattina a settimana potessimo dedicarla a questa attività.
In questo racconto queste due temerarie colleghe ci hanno raccontato come hanno ottenuto questo piccolo risultato. Certo, una goccia in mezzo all’oceano di altri appuntamenti in altre scuole dove non si è riusciti a concludere niente e di altri ancora dove non si è stati ricevuti, nonostante le conferme telefoniche e le ore di anticamera.
Ci siamo passati tutti.
Dipende dalla scuola, dipende dallo Stato, dipende da molti fattori, molti dei quali assolutamente ingiusti, rispetto ai quali possiamo lagnarci, protestare, tentare di cambiarli, provare a cercare un adattamento e chissà che altro che non mi viene in mente…
Di certo una riflessione merita l’ultima parte del racconto, quella dei saluti, una volta che il preside ha deciso quale progetto accettare (quello con più ore e quindi più investimento da parte della scuola).
Sulla porta, quando ci siamo salutati, rimandandoci all’approvazione del consiglio, il dirigente scolastico ci dice – Naturalmente, semmai nei prossimi giorni dovessero venire vostre colleghe che mi propongono uno sportello gratuito, io mi prendo il loro progetto –
Ecco, su quest’ultima parte voglio permettermi una riflessione rivolta alla categoria.
Non possiamo sapere se alla fine il progetto sia stato approvato per assenza di ulteriori proposte in termini gratuiti o se le colleghe abbiano saputo farsi valere fino in fondo con la loro competenza e il loro atteggiamento realista, propositivo e proattivo.
Il punto non è tanto come siano andati davvero i fatti, quanto che quando noi per primi ci presentiamo in maniera gratuita lanciamo il messaggio che tutto ciò che va valutato del nostro lavoro è semplicemente il costo.
Anche a discapito della competenza.
Non oso buttare la croce addosso ai dirigenti scolastici, che spesso sono abbandonati a loro stessi, con richieste sempre più complesse e risorse sempre più esigue quando non completamente assenti.
Ma ogni volta che ci lamentiamo che non ci vengono riconosciute competenze, domandiamoci anche cosa abbiamo fatto noi come categoria per fare in modo che ciò accadesse…
[a scanso di equivoci, io confesso di aver lavorato gratis, senza una adeguata valutazione sul ritorno d’investimento del mio impegno. Poi ho smesso. Ne parlavo qui ]