Continua la mia personale crociata contro la mia ignoranza.
Non mi arrendo!
Superato il trauma di aver appreso all’improvviso di essere una counselor perché non lavoro sull’inconscio (qui il mio dramma personale), mi imbatto di nuovo in un’affascinante discussione, a partire dall’approvazione dell’art.21.
A rendere la cosa DAVVERO interessante è che questa volta dall’altra parte non c’è il counselor che cerca di spiegarmi perché non svolge in nessun modo abuso della professione di psicologo (E IO, SENZA INUTILI IRONIE, MI SFORZO DI CREDERLO CON TUTTA ME STESSA), ma uno psicoterapeuta che forma counselor.
INTENDIAMOCI, e non mi stancherò mai di ripeterlo, non c’è niente di male a formare chicchessia. E io, che ADORO insegnare, sarò ben lieta di insegnare anche in un corso di counseling. Naturalmente per preparare al meglio le mie lezioni, dovrò capire quali sono le funzioni che questo professionista andrà a svolgere, in modo da scegliere argomenti e modalità più funzionali ed efficaci!
Nella discussione, dove si tirano fuori i soliti articoli della costituzione bla bla, all’improvviso, con la scemenza che mi caratterizza, affermo che la ragione di infervorarsi non c’è. I counselor non fanno gli psicologi, NON POSSONO, quindi il problema dov’è?
Tutto qua. Ma solo a me sembra così semplice? Eppure non sono più intuitiva della media, anzi!
Che fa un counselor?
E che ne so io! Mica è compito mio capirlo! E’ compito loro, e non sono ironica.
Si continua a dire, con (voluta?) superficialità che la Legge 4/2013 “Disposizioni in materia di professioni non organizzate” ha riconosciuto il counseling.
E’ una forzatura.
La legge dice che sono riconosciute tutte le professioni non organizzate in ordini e collegi.
PUNTO.
Non elenca nessuna professione, non riconosce niente nello specifico.
Anzi, dice pure che queste nuove professioni non devono svolgere atti già di pertinenza di professioni già regolamentate (e ci mancherebbe). Ed esclude le professioni sanitarie.
Durante la discussione allora accade una cosa strana. Spunta un’affermazione inquietante che suona più o meno così
io mi fiderei di più di un counselor che ha fatto terapia personale che di uno psicologo
Sorvolerò sul fatto che ho sentito counselor spacciarsi per terapia personale 30 ore fatte in gruppo, la frase ha una logica contorta, che si risolve con una semplice specificazione:
pe’ ffa’ che?
Se devo costruire un muro, mi fiderò più di un muratore che di un pilota di aerei.
Se devo fare la torta per mia nipote, mi fiderò più del pasticciere che dello spazzino.
Se devo riparare una frattura mi fiderò più di un ortopedico che del panettiere.
Le metti a paragone, allora sottendi che fanno lo stesso lavoro?
Ma allora è così o non è così?
Io non capisco veramente; con una mano mi spiegano che il counseling non fa quello che fa lo psicologo, poi li si mette a confronto.

Non capisco non capisco.
Mi chiedo pure cosa capisca uno che va a un corso di formazione in counseling. Capisce che può fare lo psicologo senza studiare psicologia (questa non è mia, l’ho letta su una locandina promozionale)? E’ messo in condizione di capire che lo psicologo è una persona con cui può collaborare, anzi, molto probabilmente collaborerà, ma rispetto al quale fa un lavoro diverso, quale, al momento, io non sono ancora riuscita a capire?
Mistero misterioso.
Ma andiamo oltre l’ignoranza, perché trasversalmente l’affermazione del collega pone una questione interessante (e pure questa un poco inquietante). Qual è il livello di preparazione dei colleghi che escono dalla laurea quinquennale?
La preparazione universitaria dal punto di vista teorico mi sento di dire che è di ottimo livello, la vera criticità sta nei tirocini. Non conosco la situazione nel resto d’Italia, ma qui in Campania sono poche le isole felici dove vedi la clinica e i tutor ti aiutano nel complesso processo di costruzione che è la tua identità di professionista psicologo.
Le esperienze che si possono fare sono quasi opposte, ma entrambe fortemente rischiose dal punto di vista formativo.
La prima è quella di passare 6+6 mesi a rispondere al telefono, a fare fotocopie e accettazione, a passare più tempo a prendere il caffè con gli infermieri che nelle stanze con psichiatri e/o psicologi.
La seconda è quasi più aberrante. Si viene lanciati, nudissimi, nella mischia, in piena sostituzione del personale che manca nella struttura.
Per non parlare, poi, di tutte le criticità che caratterizzano quelli che non vogliono fare della clinica il loro mestiere, ma hanno scelto, ad esempio la psicologia del lavoro. Trovare una sede di tirocinio per loro credo sia un’autentica impresa.
Ma stiano sereni, l’impresa ormai sta diventando titanica per tutti, compresi gli specializzandi in psicoterapia…
Accanto a questi estremi ci sono le perle rare. Io ne ho beccate più in fila. Di sicuro ci ho messo del mio, non arrendendomi al primo nome che mi capitava, informandomi, chiedendo.
E sono stata fortunata, perché accanto ai tutor ho trovato specializzandi più avanti di me che mi hanno permesso di costruire un’identità professionale, oltre che acquisire competenze.
E’ anche per questa fortuna (forse giusto premio per l’audacia nel pretendere di farlo il tirocinio, di non accontentarmi, per esempio di qualche seminario, a costo di rimandare la laurea di 3 mesi…) che sento ogni volta che ho la possibilità di restituire alla comunità quello che io ho ricevuto.
Ma a parte le esperienze e le volontà personali, c’è un problema che resta: spesso l’anno di tirocinio è più formale che formativo.
Si può ovviare a questo? C’è la volontà di ovviare a questo? E la risposta è sì ad entrambe le domande, come?
Diventerebbe allora interessante l’affermazione del collega di cui sopra, che richiama, credo, a un sistema di formazione tutto da rivedere.

Spesso chi forma i counselor dice che il professionista non è fatto dalla laurea, ma dalle competenze. Mi parlano di sistemi di accreditamento di percorsi formativi diversi e mi affascinano pure, ma poi mi chiedo: perché questa cosa dovrebbe valere solo per la psicologia? Non dovrebbe pure valere per l’avvocato, il medico, l’ingegnere e tutte le altre 28 professioni?
[Naturalmente quando mi viene avanzata questa riflessione, ci tengo a far notare che ciò vorrebbe dire che allo stato i counselor già fanno gli psicologi di straforo, altrimenti perché porsi il problema?].
Non dico che non sarei d’accordo, anzi, un sistema del genere potrebbe anche essere interessante, solo ho delle perplessità…ad esempio, così eh, mi arrivano voci, sentito dire di sentito dire eh, io niente sacciu, ma pare che in alcuni centri di formazione esistano dei veri e propri “addetti all’attestato”…così, per dirne una…
In questi giorni durante un convegno ho sentito dire due cose tremende. La prima era che dovremmo rinunciare a un po’ di etica per essere più competitivi sul mercato (MAI MAI E POI MAI, piuttosto faccio l’addetta all’attestato!), la seconda è che in fondo noi usiamo solo la parola, non tagliamo braccia. Messe insieme queste due affermazioni (ma pure separatamente devo dire) creano in me un allucinante sconcerto, mi hanno urtato nell’intimo. Io sento ogni volta un’enorme responsabilità quando una persona si siede nel mio studio, mi mostra la sua vita “viscerale” e mi chiede una mano per stare meglio. E per responsabilità non intendo “narcisistico potere di salvezza”, ma responsabilità etica di dover pesare, tra le altre cose, anche i miei limiti rispetto alla sua richiesta, oltre che impegnarmi a scovare gli strumenti in mio possesso. Chi si mette in gioco, inoltre in un momento di fragilità, deve avere il massimo della garanzia, sia dal punto di vista etico sia professionale.
Insomma, in conclusione, devo dire che rileggendo l’articolo l’unica cosa che davvero dice questo pezzo è che al momento ho una resistenza a scrivere un articolo che parli pienamente dell’identità dello psicologo. Ma guarirò, e scriverò un capolavoro! (possibilmente più conciso di questo papiello).
…”Nella discussione, dove si tirano fuori i soliti articoli della costituzione bla bla, all’improvviso, con la scemenza che mi caratterizza, affermo che la ragione di infervorarsi non c’è. I counselor non fanno gli psicologi, NON POSSONO, quindi il problema dov’è?”
Sai Ada, dov’è il problema?…. è che si parla di relazioni di aiuto, di bisogni espressi o inespressi …fosse pure una richiesta di sviluppo ed incremento delle proprie life skills…. si parla sempre di un rapporto fiduciario che si instaura tra chi chiede un qualcosa ad un esperto ed un professionista specifico e completo (almeno nella sua formazione) che oltre all’adeguato iter di studi (concluso con il superamento dell’esame di stato) possieda anche gli strumenti per fornire risposte adeguate… fossero anche solo di invio…. tutto qui….
E temo che si “gonfi” un po’, specie in ambito formativo, la presunta professione di Counselor …. rischiando di trasformare, in chi non è psicologo di base, ciò che in qualcuno nasce dalla nobilissima filantropia in falsa ed abusata professione, prerogativa di una specifica figura: lo psicologo appunto…… ma nessun counselor ti direbbe che fa od è psicologo, ci mancherebbe, anche se in fondo in fondo crede che tutto sommato “a volte” lo psicologo non serve…. basta la sua azione…che è diversa!!! … e qui sorge la domanda inevitabile: “come fanno i counselor (non psicologi) a comprendere, non avendo alcuna base formativa ed esperienziale, l’entità di una qualsiasi richiesta di aiuto proveniente da chi si rivolge a loro in buona fede?”. Tutto qua.
….. ah… si è molto bella l’esperienza della formazione… dà molto e mi auguro di poter ripetere una tale esperienza
Un abbraccio